giovedì 3 maggio 2012
domenica 29 aprile 2012
II
Una mattina di
maggio, poca gente sul molo.
C'è una partenza da
celebrare, un pensiero da consegnare.
Un sole pigro saluta le promesse del giorno,
voci di marinai
scivolano sulla banchina.
Ogni cosa è in
ordine,
tutto sembra chiaro
e definito,
ciò che si vede è
ciò che è,
non ci sono segni da
decifrare.
La mano di un
bambino scrive sull'acqua,
le mie mani affidano
ad altre mani un pacchetto di parole:
poche sillabe,
impossibili da equivocare.
Si levano le ancore,
il viaggio sarà breve.
Dal mio porto al tuo, un braccio di mare compreso in uno sguardo,
Dal mio porto al tuo, un braccio di mare compreso in uno sguardo,
dal mio porto al
tuo, c'è un pensiero da consegnare.
Si gonfiano le vele,
la nave scivola sull'acqua
la nave scivola sull'acqua
e mentre va tutto
cambia
e la nave non è più
la stessa nave.
Si va per il Mare
della Relazione, che porta fuori dal sé,
che unisce e che
divide,
che mescola le carte
e diluisce le certezze.
Le parole si
confondono, si svuotano e poi si riempiono
e quello che prima
era certo ora è solo possibile.
All'arrivo è
trascorso poco tempo dalla partenza, eppure è notte fonda.
Una luna sussiegosa
risplende
troppo lontano per accendere il mare nero.
troppo lontano per accendere il mare nero.
Il pacchetto di parole passa attraverso mani
che lo consegnano
nelle tue.
Quando lo apri scopri che contiene un pensiero
Quando lo apri scopri che contiene un pensiero
che è quel che è,
non quel che avrebbe
dovuto essere.
e neppure io,
che te l'ho inviato.
[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]
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Xenia Dubinina
sabato 28 aprile 2012
I cani romantici
A quel tempo avevo vent'anni
ed ero pazzo.
Avevo perso un paese
ma guadagnato un sogno.
E se avevo quel sogno
il resto non importava.
Né lavorare, né pregare,
né studiare la notte
insieme ai cani romantici.
E il sogno viveva nel vuoto del mio spirito.
Una camera di legno,
in penombra,
in uno dei polmoni del tropico.
E a volte mi guardavo dentro
e visitavo il sogno: statua eternata
in pensieri liquidi,
un verme bianco che si contorce
nell'amore.
Un amore sfrenato.
Un sogno dentro un altro sogno.
E l’incubo mi diceva: crescerai.
Ti lascerai alle spalle le immagini del dolore e del labirinto
e dimenticherai.
Ma crescere a quel tempo sarebbe stato un crimine.
Sono qui, dissi, con i cani romantici
e qui io resterò.
[Roberto Bolaño]
ed ero pazzo.
Avevo perso un paese
ma guadagnato un sogno.
E se avevo quel sogno
il resto non importava.
Né lavorare, né pregare,
né studiare la notte
insieme ai cani romantici.
E il sogno viveva nel vuoto del mio spirito.
Una camera di legno,
in penombra,
in uno dei polmoni del tropico.
E a volte mi guardavo dentro
e visitavo il sogno: statua eternata
in pensieri liquidi,
un verme bianco che si contorce
nell'amore.
Un amore sfrenato.
Un sogno dentro un altro sogno.
E l’incubo mi diceva: crescerai.
Ti lascerai alle spalle le immagini del dolore e del labirinto
e dimenticherai.
Ma crescere a quel tempo sarebbe stato un crimine.
Sono qui, dissi, con i cani romantici
e qui io resterò.
[Roberto Bolaño]
mercoledì 25 aprile 2012
domenica 22 aprile 2012
Ancora sulla strada di Zenna
Perché quelle piante turbate m'inteneriscono?
Forse perché ridicono che il verde si rinnova
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?
Ma non è questa volta un mio lamento
e non è primavera, è un'estate,
l'estate dei miei anni.
Sotto i miei occhi portata dalla corsa
la costa va formandosi immutata
da sempre e non la muta il mio rumore
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse finirà.
E io potrò per ciò che muta disperarmi
portare attorno il capo bruciante di dolore...
ma l'opaca trafila delle cose
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo,
la spola della teleferica nei boschi,
i minimi atti, i poveri
strumenti umani avvinti alla catena
della necessità, la lenza
buttata a vuoto nei secoli,
le scarse vite, che all'occhio di chi torna
e trova che nulla nulla è veramente mutato
si ripetono identiche,
quelle agitate braccia che presto ricadranno,
quelle inutilmente fresche mani
che si tendono a me e il privilegio
del moto mi rinfacciano...
Dunque pietà per le turbate piante
evocate per poco nella spirale del vento
che presto da me arretreranno via via
salutando salutando.
Ed ecco già mutato il mio rumore
s'impunta un attimo e poi si sfrena
fuori da sonni enormi
e un altro paesaggio gira e passa.
[Vittorio Sereni: "Gli strumenti umani"]
Forse perché ridicono che il verde si rinnova
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?
Ma non è questa volta un mio lamento
e non è primavera, è un'estate,
l'estate dei miei anni.
Sotto i miei occhi portata dalla corsa
la costa va formandosi immutata
da sempre e non la muta il mio rumore
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse finirà.
E io potrò per ciò che muta disperarmi
portare attorno il capo bruciante di dolore...
ma l'opaca trafila delle cose
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo,
la spola della teleferica nei boschi,
i minimi atti, i poveri
strumenti umani avvinti alla catena
della necessità, la lenza
buttata a vuoto nei secoli,
le scarse vite, che all'occhio di chi torna
e trova che nulla nulla è veramente mutato
si ripetono identiche,
quelle agitate braccia che presto ricadranno,
quelle inutilmente fresche mani
che si tendono a me e il privilegio
del moto mi rinfacciano...
Dunque pietà per le turbate piante
evocate per poco nella spirale del vento
che presto da me arretreranno via via
salutando salutando.
Ed ecco già mutato il mio rumore
s'impunta un attimo e poi si sfrena
fuori da sonni enormi
e un altro paesaggio gira e passa.
[Vittorio Sereni: "Gli strumenti umani"]
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