domenica 20 luglio 2014

László Krasznahorkai – Melancolia della resistenza


Libro strano e bellissimo. Una prosa densa, frasi lunghe e nessun 'a capo', periodi che costringono il lettore a rimanere sempre concentrato per non perdere il filo del discorso, in netta controtendenza rispetto a tanta letteratura contemporanea. Una scrittura che serve (anche) a farci entrare nel romanzo a poco a poco, con trama e personaggi che si rivelano con tempi - anche qui - più lenti rispetto a quelli a cui siamo abituati. Krasznahorkai costruisce un romanzo sul quale incombe un'atmosfera nebbiosa e cupa che mette in dubbio le certezze fin dalla prima pagina: 

 ...l'ordine delle abitudini non era più indiscutibile, la confusione si ramificava indomabile a sconvolgere la normale quotidianità, il futuro appariva insidioso, il passato lontano e dimenticato, mentre il normale corso delle giornate era talmente imprevedibile che la gente si era arresa... 

 Melancolia della resistenza è un romanzo corale, nel quale l'autore sceglie di farsi da parte e lasciare la parola ai protagonisti. La storia è raccontata da ognuno dei personaggi secondo il suo punto di vista, ognuno è chiamato a dire come si confronta con il caos che compare all'improvviso a sgretolare un ordine che si credeva immutabile. Ed ecco scorrere sotto i nostri occhi una teoria di strategie, di comportamenti, di tecniche diverse che ognuno mette in opera per affrontare la partita con la vita. 
 C'è chi si difende, come la signora Pflaum:

..abituata a osservare il folle turbinio del mondo esterno dal suo benefico rifugio, e dalla considerevole distanza di quell'universo intimo tutto era così estraneo da apparire incerto, nebbioso, informe, confuso, come adesso – di nuovo seduta dietro la sicurezza, finora impeccabile di una porta chiusa a chiave, come se bastasse una serratura per dimenticare il mondo... 

e chi gioca in attacco, come la signora Eszter: 

 ...Sentendosi padrona del futuro, guardava la città con gli occhi di un'audace ereditiera, convinta di trovarsi alle soglie di “un'era radicalmente nuova, gravida di promesse, che avrebbe spazzato via tutto”... 
...Il dubbio in lei non esisteva, non temeva l'imprevisto, si sentiva sicura di sé come solo lei sapeva esserlo... ...un soldato fatto e finito, che conosceva solo un ritmo, la marcia, e una sola melodia, la carica... 
...Voleva che riscoprissero principi sani come la forza, l'azione, il re-a-li-smo, bisognava “spazzar via” i mercanti di illusioni, gli ingannatori, i deboli, che non volevano riconoscere la legge che ci governa: la vita è una guerra di vinti e vincitori... 
...C'era un solo segreto, “non bisogna vedere a certe piccole, viscide illusioni, ma fare i conti solo con le cose concrete”. Questo era il punto più importante, “non cedere” a illusioni generalmente devastanti, come la storia che “il mondo è governato da un cosiddetto Dio, dalla morale, e naturalmente dalla bontà”, per lei il mondo degli uomini era piuttosto “un canneto di meschini interessi”, un canneto dove comanda il vento, e il vento era lei... 

C'è poi chi la partita ha rinunciato a giocarla, come il signor Eszter, che si dichiara vinto e sceglie di chiudersi in casa accettando di essere stato sconfitto dalla vita e convinto del fallimento dell'umanità, dell'impossibilità di comprendere il disegno del creatore perché non esistono né disegno né creatore e l'universo è solo un alternarsi ineluttabile di distruzione e creazione, una lotta tra ciò che resiste e ciò che tenta di sconfiggere la resistenza, sul quale è inutile speculare. Un tempo aveva sperato che la musica fosse l'unica possibilità per resistere e opporsi alla “appiccicosa lordura” del mondo, ma presto aveva dovuto ammettere che anche questa era solo un'illusione, per cui aveva deciso di ritirarsi, distaccarsi, dedicarsi esclusivamente alla gioia inesprimibile della rinuncia. 
E c'è anche chi ha provato a fuggire rifugiandosi nella follia, come Valuska che vive nel suo mondo di fantasia: 

...navigava col pensiero e con le visioni, si muoveva libero nello spazio immenso e imperscrutabile come se quello fosse il suo vero mondo, in questo, prigioniero della sua libertà, non riusciva a trovare posto... 
...il suo cervello, preda di un meravigliato stupore, era completamente scollegato dalle normali faccende terrene. Camminava “a occhi chiusi, instancabile, con l'animo perso nell'incurabile bellezza del suo cosmo personale”... 

almeno fino a quando la realtà irrompe con la brutalità della violenza insensata a distruggere le fragili difese che si era costruito e lo costringe all'impasse 

...poiché il paesaggio originale non c'era più sulla carta, e in quello nuovo non sarebbe stato capace di muovere un solo passo alla vecchia maniera, la cosa migliore era dimenticare tutto... 
...ormai anche il “suo cuore” era morto, aveva imparato “a stare con i piedi per terra e tutto era ormai chiaro”, non credeva più che “il mondo fosse un luogo magico” … 
...era uscito da un sogno malato, ma giocoso, e si era “risvegliato in un deserto” dove le cose non sono null'altro che entità tangibili... 

 E poi c'è la gente, la massa anonima che non capisce quello che succede e si rifugia nella superstizione e non sapendo reagire al caos si chiude in se stessa, diventando facile preda tanto per chi porta distruzione quanto per chi vuole impadronirsi del potere. 
Melancolia della resistenza è un libro sulla natura e la storia dell'uomo, sulla crisi della società, sull'ignavia delle masse e sulla pericolosità dell'ambizione dei singoli, ma soprattutto un libro sul senso della vita, che racconta non tanto la lotta eroica dell'uomo nella vana ricerca di trovare una logica nell'universo, un'armonia nelle cose del mondo, quanto quello che succede dopo che l'uomo si è reso conto dell'inutilità dei suoi sforzi e si è arreso al fallimento, quando come unica forma di difesa, non gli resta altro che una resistenza passiva nei confronti della vita.

sabato 12 luglio 2014

Del nosto impotente orbitare nel cosmo



...ogni racconto confermava perfettamente la fondatezza dei suoi sospetti: il legame di causa ed effetto tra le cose, l'illusione che gli eventi siano prevedibili, insomma, quella che si chiama razionalità “era andata a farsi benedire per sempre”. «Siamo protagonisti di un fallimento» continuò Eszter «abbiamo completamente fallito con le azioni, i pensieri, l'immaginazione, e persino nei nostri pietosi sforzi di capire il perché del nostro fallimento; abbiamo sbagliato tutto in questo universo. La gente parla di apocalisse e giudizio universale perché non sa che non ci sarà né un'apocalisse, né un giudizio universale... sarebbero completamente superflui, le cose vanno in rovina da sole, tutto si distrugge per poi ripartire di nuovo da capo, e avanti così senza sosta, evidentemente perché così deve essere, come il nostro impotente orbitare nel cosmo: una volta partiti, non ci si ferma più. Mi sento le vertigini e mi annoio come tutti quelli che sono riusciti a liberarsi dall'illusione che dietro questo ciclo doloroso di costruzione e distruzione, nascita e morte, sia sospettabile la presenza di un piano preciso, una sorta di gigantesca e magnifica finalità... Che in origine... a suo tempo... ci fosse qualche idea in giro ovviamente è possibile, ma sul nostro mondo che è diventato una valle di lacrime meglio stendere il velo del silenzio, almeno per lasciare in pace l'oscuro ricordo di colui al quale dobbiamo tutto ciò. Meglio il silenzio, smettiamo di almanaccare sulle intenzioni, sicuramente sublimi, del nostro antico protettore, e provare a indovinare lo scopo cui siamo stati destinati, perché l'abbiamo già fatto abbastanza, ma come si può vedere non siamo finiti da nessuna parte. L'insaziabile curiosità con la quale ci siamo lanciati incessantemente contro il mondo non è stata coronata dal successo. Meglio andarci cauti con le ricerche e tentativi al buio, sarebbe più corretto accontentarsi della magra verità che tutti noi sperimentiamo sulla nostra pelle: non siamo altro che miseri soggetti di un insignificante fallimento in questo affascinante creato, tutta la storia umana si può riassumere in quattro pietose spacconate replicate da poveri sciocchi, e nella dolorosa ammissione di un errore, nel lento riconoscimento di una verità deprimente: il mondo che abbiamo costruito non ci è riuscito così brillantemente.»

[László Krasznahorkai: "Melancolia della resistenza"]




sabato 21 giugno 2014

La goccia d'acqua


 

Stine si chinò, staccò una foglia, la tenne davanti al volto di lui. Sulla lucida superficie verde scuro c'era una goccia d'acqua.
La goccia d'acqua cominciò a spostarsi lungo il bordo della foglia. «Volevo capire la goccia. Volevo capire cosa la tenesse insieme. Cosa le impedisse di dividersi in parti più piccole.»
«Che cosa la tiene insieme?» disse lei. Kasper aveva amato la sua curiosità. Era una fame, era insaziabile. Era come la curiosità del clown e dei bambini. Un'apertura mentale, un appetito del mondo che non dava nulla per scontato. «Faccio ancora quel gioco» sussurrò, «anche se in modo un po' diverso, con un po' più di concentrazione, sui suoi aspetti essenziali. È l'unica differenza fra la ragazza e la donna, fra il bambino e l'adulto. Raccolgo nella coscienza tutto ciò che sappiamo sulle forze di coesione nei liquidi. L'elasticità della goccia. Il suo tentativo di trovare la minore energia di tensione possibile.
E quando sto quasi per capire, e sono molto, molto vicina, e allo stesso tempo mi rendo conto che non ci arriveremo mai, e lo spirito sta per esplodere, allora rinuncio a ogni comprensione e cado dentro la goccia.» La foglia era ferma, e anche la goccia. Niente si muoveva. Kasper sentì l'ultima acqua che veniva sollevata dalla pompa.
Con cautela, con molta cautela, posò la foglia sul cemento. «Quando accade, e accade di rado, si intuisce cosa ci costerebbe capire davvero. Un prezzo che nessun ricercatore può pagare, se vuole continuare a fare il suo lavoro. Ci costa la comprensione stessa. Non si può arrivare fino a qualcosa e allo stesso tempo volerla comprendere. Capisci cosa intendo?»

[Peter Hoeg: "La bambina silenziosa"]

domenica 15 giugno 2014

ritorno a Volastra


... avevo creduto sbagliando, che tutto avrebbe potuto essere come venti anni prima.
Per me rivedere Giulia avrebbe voluto dire riprendere il discorso lasciato in sospeso sulla Costa de' Posa. Ne ero convinto. Sarei stato capace di ricominciare al punto esatto in cui eravamo rimasti. Avrei potuto replicare alle sue parole di allora su Pessoa e su quanto fossi introverso, come se non fosse trascorso neppure un giorno, come se io e lei fossimo gli stessi ragazzini di allora. Non avevo considerato il fatto che per lei probabilmente quei venti anni erano passati eccome.
Solo ora me ne rendevo conto. Ora che sedevo con i vecchi del paese al tavolino del bar davanti alla scuola, in attesa di vederla uscire da quel portone. Avevo fatto seimilacinquecento chilometri convinto di ritrovare era una ragazzina di diciotto anni, ma quella che mi sarei trovato davanti se fossi rimasto lì sarebbe stata una donna di trentotto. Qualcosa di un po' diverso, un leggero errore di prospettiva. Una persona reale invece di una mia fantasia. Solo ora capivo che sicuramente per lei tutto era cambiato e che niente avrebbe potuto essere come prima.
Viviamo a velocità diverse. 
Ognuno di noi viaggia a una velocità che è solo sua e che non è mai uguale a quella degli altri, questa è la verità. Di più: la velocità con la quale ci muoviamo non è mai costante. Tutti durante la nostra vita abbiamo momenti in cui acceleriamo, rallentiamo, ci fermiamo e ripartiamo. Incontriamo gli altri per un attimo brevissimo o magari per un periodo più o meno lungo, ma prima o poi riprendiamo a muoverci ad una velocità diversa rispetto a chi abbiamo vicino. È una velocità interiore, quella di cui sto parlando, non reale. Possiamo rimanere fermi in un posto per tutta la vita, circondati dalle stesse persone, ma è inevitabile che ci muoviamo ed ognuno di noi lo fa in maniera diversa dall'altro. Cambiamo, ci evolviamo, si potrebbe dire con parole diverse. Ma la sostanza rimane quella.
Anche mamma e papà ad un certo punto avevano preso ad andare a velocità diverse. Era successo quando avevano venduto il bosco di Monterosso e papà si era buttato nell'edilizia, forse. O magari era successo prima. Come si fa a dirlo. 
È inevitabile, non puoi farci niente e tanto varrebbe prenderne coscienza subito. Perché puoi anche sforzarti di accordare il tuo passo a quello di un altro, cercare di condividere il suo cammino, ma è difficile. È impossibile, perché non puoi essere mai certo di cosa stia facendo lui in quel momento, non puoi vedere a che velocità sta andando, se sta andando. Puoi provarci come no, puoi cercare di immaginarlo, puoi anche convincerti di aver sincronizzato la tua andatura sulla sua, ma prima o poi dovrai riconoscere che è solo una tua fantasia, un'impresa folle e destinata a naufragare, perché neppure lui è consapevole della sua velocità, neppure lui sa se in quel momento si sta muovendo o invece è fermo.