sabato 21 febbraio 2015

John Updike - Corri, Coniglio


"Non mi propongo niente di preciso. Sto suonando a orecchio, in un certo qual modo." 

Probabilmente il Grande Romanzo Americano non esiste come libro in sé, ma come cantiere sempre aperto al quale scrittori diversi hanno portato e portano di volta in volta il loro contributo. In quest'ottica la saga del Coniglio può essere letta come una voce in più, che si aggiunge ad altre per raccontarci un po' della middle class della fine degli anni Cinquanta.
 Anche Updike guarda a quel Sogno Americano che negli stessi anni Richard Yates sta facendo a pezzi (Revolutionary Road è del 1961) mostrandone tutta l'inadeguatezza e l'ipocrisia, ma lo fa alla sua maniera, grattando con l'unghia sotto la superficie, raccontando attraverso gli occhi del protagonista, Harry Angstrom, detto "Coniglio", senza giudicare quello che vede. 
Succede così che il tema kerouachiano del viaggio reinterpretato dall'uomo comune perda la carica propulsiva fatta di energia, utopia e idealismo, per ridursi a una fuga sgangherata senza meta, fuga dalle circostanze ma soprattutto da se stesso che finisce per riportare Coniglio al punto di partenza. Harry Angstrom è la figura dell'adulto immaturo che non sa gestire la frustrazione del rifiuto. È in buona fede, ci prova ma non ci riesce. E allora fugge da quello che ha, senza sapere ciò che vuole. Ma Updike non si ferma al mito del viaggio e affronta uno ad uno anche gli altri temi che hanno fatto il Sogno Americano, per farci vedere come il cielo non sia così azzurro come sembra. Il mito dell'eroe sportivo, ad esempio, crolla alla prova del tempo: Coniglio è stato sì un campione di pallacanestro giovanile, ma quell'epoca è passata e lui continua a vivere nel ricordo. Non ha saputo andare avanti, è rimasto a quello che era perché non è in grado di essere qualcosa di diverso, o probabilmente perché non sa neppure cosa vorrebbe essere. Uguale discorso potrebbe essere fatto per il mito della famiglia perfetta, della quale Updike mostra le dinamiche per evidenziarne le crepe, la difficoltà a comunicare, l'arroccarsi delle persone sulle proprie posizioni, il rifiuto di accettare le opinioni degli altri. 
Come detto, il punto di vista dell'autore è quello di chi osserva e descrive ciò che vede. Non giudica, non sembra voler sottolineare certi aspetti piuttosto che altri, Harry Angstrom è raccontato nella sua quotidianità, in quello che fa, che dice e che pensa, mescolando aspetti positivi e negativi, vitalità e inaffidabilità, simpatia e presunzione (e questa è anche una delle critiche che sono state mosse al romanzo): Coniglio è quel che è, al lettore il compito di farsi la sua opinione.

domenica 15 febbraio 2015

zoppicando


Siamo tutti disabituati alla vita, tutti zoppichiamo, chi più chi meno. 

[ Fedor Dostoevskij: "Memorie dal sottosuolo"]

sabato 7 febbraio 2015

della folle aspirazione a fermare l'istante


Conosci quell'istante del crepuscolo estivo 
dentro la stanza chiusa; un tenue riflesso rosa 
obliquo sull'assito del soffitto; e la poesia 
incompiuta sul tavolo – due versi in tutto, 
promessa inadempiuta di un meraviglioso viaggio, 
d’una certa libertà, d’una certa autosufficienza, 
d’una certa (relativa, beninteso) immortalità. 

Fuori, per strada, di già l’invocazione della notte, 
le ombre leggere di dèi, uomini, biciclette, 
quando si svuotano i cantieri, e i giovani operai 
coi loro attrezzi, coi floridi capelli fradici, 
con qualche spruzzo di calce sugli abiti consunti, 
svaniscono nell'apoteosi dei vapori vespertini. 

 Otto colpi decisivi del pendolo, in cima alla scala, 
per tutta la lunghezza del corridoio – colpi inesorabili 
d’un martello imperioso, nascosto dietro il cristallo 
ombrato; e simultaneamente il rumore secolare 
di quelle chiavi che non è mai riuscito a stabilire 
con precisione se aprano o chiudano.

[Ghiannis Ritsos: 12 poesie per Kavafis - in "Poeti greci del Novecento"]

domenica 1 febbraio 2015

Dag Solstad – Tentativo di descrivere l'impenetrabile


"Vuoto, silenzio, Assenza mi urlano contro. Mi colpisce che quelli che vivono qui magari si trovano anche bene. La sola idea mi paralizza dall'orrore. Questo è il mio popolo, e il mio paese." 

La storia che il romanzo racconta e quella di Arne Gunnar Larsen, amico di Dag Solstad e architetto direttore della pianificazione, il quale, superata da poco la quarantina e fresco di separazione, decide di trasferirsi a Romsås, quartiere periferico che ha contribuito a progettare.
Lì si trova a fare i conti con l'evidenza: l'idea di realizzare una cittadina a misura d'uomo, che potesse aiutare al gente a uscire dal guscio e a socializzare, era fallita. All'epoca della progettazione la volontà degli architetti era stata quella di far incontrare le idee con la realtà, immaginando che questo incontro avrebbe aperto la porta alla realizzazione di un progetto ben più ambizioso, vale a dire la Norvegia moderna. Alla prova dei fatti, però, era successo che idee e realtà non si fossero incontrate, ma scontrate e poi respinte, per andare ognuna dalla sua parte, con il risultato che gli sforzi di Gunnar Larsen e degli altri architetti non erano riusciti neppure a scalfire la pesante cappa di solitudine e isolazionismo che caratterizzava le vite delle persone. 
Quella con cui ora il protagonista si trova a fare i conti è una società chiusa, che vive all'interno delle proprie abitazioni limitando al minimo gli scambi con gli altri. Gli unici "amici" che Arne Gunnar riuscirà ad avere a Romsås sono una giovane coppia: Bjorn Johnsen, commesso ed ex giocatore di hockey, interessato unicamente ai film che affitta e poi guarda in maniera compulsiva sulla TV di casa, e sua moglie Yilva, presenza quasi impalpabile per gran parte del libro. 
L'equilibrio della coppia sembra simile all'equilibrio che vige nella società: come gli altri, anche marito e moglie vivono chiusi nei loro mondi (i film per lui e le fantasie per lei) e questa situazione potrebbe durare all'infinito se Yilva non decidesse di uscire dallo schema consueto per trasformarsi in personaggio "attivo", provocando uno scarto nel percorso abituale, una rottura nell'apparente armonia, da cui scaturirà necessariamente il dramma. 
In una realtà cristallizzata come quella che Solstad ci presenta non ci può essere spazio per qualcosa di diverso dalla routine. L'idea della fuga, di dar voce alle speranze per evadere da una vita che non si accetta più, è semplicemente inconcepibile. Vivere come monadi non può non comportare conseguenze e la prima è che si perde l'abitudine a interagire con gli altri, a relazionarsi, a mediare. 
Tentativo di descrivere l'impenetrabile vorrebbe essere il tentativo di capire cosa non ha funzionato nella realizzazione della via norvegese al socialismo degli anni '80, in realtà l'analisi non sembra particolarmente approfondita e si limita a descrivere lo status quo senza lasciar trasparire neppure uno spiraglio di luce in mezzo a tanto grigiore. Anche la prosa di Solstad sembra adattarsi a questo clima, raccontando gli avvenimenti in maniera piuttosto piatta, senza mai cambiare tono, con il risultato che alla fine anche la tragedia sembra routine, assorbita dalla stessa nebbia che avvolge e mette la sordina a ogni cosa.

sabato 31 gennaio 2015

Pane e sogni


L’uomo muore se lo privi del pane, ma deperisce senza sogni.

[Jón Kalman Stefánsson: "La tristezza degli angeli"]