sabato 8 marzo 2025

La pazienza dell'acqua sopra ogni pietra – Alejandra Kamiya

 


La pazienza dell'acqua sopra ogni pietra – Alejandra Kamiya
(trad. Elisa Tramontin)
La Nuova Frontiera editore (I ed. 2023)

Una raccolta di racconti che testimonia l'indiscutibile capacità dell'autrice argentina di padroneggiare questo genere letterario. Quella di Kamiya è una voce facilmente riconoscibile, anche per via della prosa poetica con cui interpreta le pagine. Una scrittura accattivante, una buona gestione del ritmo e dei tempi della narrazione, dell'uso del colpo di scena, del non detto, della sospensione, dell'incursione del surreale nella quotidianità… eppure.
Già, c'è qualcosa che non convince fino in fondo. Si tratta di racconti ben costruiti ma che mancano di anima, di profondità, rimangono in superficie senza addentare la pagina, suscitano emozioni che però l'autrice tiene a freno con mano sicura, come se non volesse scoprirsi più di tanto. L'impressione è che Kamiya stia esplorando le possibilità del romanzo senza trovare davvero la propria strada: ci sono racconti che dialogano tra loro e che richiamano, molto alla lontana, la struttura di Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson, alternati ad altri che vanno in direzione diverse, tentativi di narrazione al condizionale, animali parlanti, irruzione dell'onirico nel reale, il fantastico…
Peccato, perché la scrittura è di livello ma forse si gioverebbe della scelta di un registro preciso (e il surreale mi pare quello più congeniale all'autrice), di una strada da percorrere con più decisione e più in profondità. Invece La pazienza dell'acqua sopra ogni pietra a volte a volte sembra essere un esercizio di stile, storie su filo di un calligrafismo fine a se stesso, bei racconti che si dimenticano con facilità.

sabato 1 marzo 2025

Spam – Rafael Spregelburd



Spam – Rafael Spregelburd
(trad. Manuela Cherubini)
Cue Press editore (I ed. 2015)



Un'opera teatrale che racconta un mese della vita di un uomo che ha perso la memoria. I trentun capitoli che destrutturano la narrazione non seguendo l'ordine cronologico sono già una dichiarazione d'intenti: il tempo, uno dei cardini su cui si regge la nostra esistenza, è andato in frantumi, l'uomo e la società stanno andando in frantumi.
Troviamo Mario Monti (nomen omen), protagonista del testo, in una stanza d'albergo con uno smoking usato, scatole piene di bambole e un laptop, un bizzarro armamentario partendo dal quale cerca di ricostruire la sua storia. "Viaggio senza valigia. Senza passato. Però ho la connessione. È quel che ho." Parole chiare, una metafora potente della contemporaneità e dello smarrimento di identità. La falsa illusione di demandare alla cronologia del computer il ruolo della memoria personale: davvero lì dentro c'è tutto quello che siamo, spazzatura compresa (e viene in mente il Delillo di Underwood)?
La scrittura semplice e il tono apparentemente giocoso e leggero, creano un corto circuito con la drammaticità degli avvenimenti che fanno da sfondo alla vana ricerca del protagonista di mettere ordine nella sua vita. Con ironia amara (e ci sarebbe da discutere anche sul ruolo negativo giocato dal ricorso all'ironia da parte della contemporaneità, Giorgio Vasta docet), Spregelburd descrive l'irruzione del virtuale nelle nostre vite, sottolineando come internet sia diventato lo standard su cui sono conformate e come questo standard abbia modificato la comunicazione. La promessa di semplificazione con cui era stata accolta la nuova tecnologia si è rivelata un cavallo di Troia che ha portato dentro la società solo disordine e complessità. È un mondo sconosciuto, che non permette più al protagonista di Spam di orientarsi e nel suo tentativo di mantenersi a galla Mario Monti precipita sempre più nelle sabbie mobili di una quotidianità che mescolando reale e virtuale, lo ha reso invisibile in entrambi i mondi.
Le parole mentono ma gli oggetti da soli non ci permettono di orientarci nella notte.

sabato 22 febbraio 2025

Corpi idrici – Gerald Murnane



Corpi idrici – Gerald Murnane
(trad. Elena Malanga)
La nave di Teseo editore (I ed. 2018)

I racconti compresi in questa raccolta rappresentano un ottimo punto di partenza per avvicinarsi alla scrittura di Murnane. Non è semplice prendere le misure all'autore australiano perché dietro la facciata di convenzionalità si nasconde un battitore libero, un viaggiatore solitario nello spazio del postmoderno (inteso in senso molto lato), un po' come lo è stata Clarice Lispector nell'ambito del modernismo. Mi riferisco unicamente all'atteggiamento nei confronti della pagina bianca, a come entrambi decidano di costruirsi da soli gli strumenti necessari ad affrontare l'impresa e va da sé che si tratta di strumenti diversi e che le analogie tra i due autori finiscano qui.
Quelli di Corpi idrici, sono racconti costruiti su trame esili e che non vanno da nessuna parte: i temi sono il ricordo, le corse di cavalli, il rapporto contradditorio con la religione, i sensi di colpa, le inibizioni adolescenziali che i personaggi si trascinano ben oltre quell'età e poco altro. Si tratta di storie caratterizzate da un rigore formale e una precisione dei dettagli che l'autore spinge all'eccesso, appesantendo la narrazione con continui riferimenti spazio-temporali al punto che l'ossessività sembra essere l'aspetto dominante della scrittura. Anche la postura della voce narrante contribuisce al senso di straniamento: si tratta di una terza persona che dice quello che i protagonisti fanno o pensano, tenendo così il lettore lontano dall'azione. Tutto ciò, unito all'assenza dei nomi propri, comporta un depotenziamento della partecipazione emotiva del lettore che non riesce a identificarsi con i personaggi.
Perché questa scelta? Perché quello che interessa all'autore, non è raccontare una bella storia, ma mostrare come immagini e sentimenti si possano trasformare in parole, come la scrittura trasformi il mondo invisibile in mondo visibile.
Si è detto da qualche parte che i racconti di Murnane sono simile alle scatole di Joseph Cornell e mi sembra un paragone corretto: attraverso le storie lo scrittore australiano ci fa entrare nel suo laboratorio di scrittura e ci mostra come tutto parta da un'immagine, dalla descrizione di dettagli che fanno da amplificatore per la narrazione creando una rete, un ordine tra fatti, persone, immagini e pensieri, una mappa spazio-temporale che ingloba realtà e fantasia formando altre immagini collegate fra loro.
Ecco la scrittura di Murnane: non i fatti ma l'atmosfera, non l'azione ma quello che nasce dall'immagine.



domenica 26 gennaio 2025

Montevideo – Enrique Vila-Matas


Montevideo – Enrique Vila-Matas
(trad. Elena Liverani)
Feltrinelli editore (I ed. 2022)


Libro di libri. E di scrittori. Perché ne compaiono a decine nelle pagine di Montevideo, in una girandola che stordisce il lettore costretto a rincorrere l'autore tra Parigi, Barcellona, Lisbona e Montevideo, finendo sempre con il fiato corto perché quando gli sembra di averlo raggiunto scopre che il narratore ha spostato l'orizzonte un po' più in là.
Libro di libri. E di tesi. Vila-Matas, in bilico tra il rigore dello studioso che esplora le possibilità del postmoderno e il piacere del cultore di divertimenti sofisticati, galleggia tra l'essere il più borgesiano degli scrittori contemporanei e il più erudito dei giocolieri di parole. Si parla, come sempre nella bibliografia dell'autore catalano, di scrittura e letteratura; di quest'ultima ci regala un catalogo di cinque tendenze, categorie attraverso le quali salta nel corso della trama, come se cercasse una strada personale alla narrazione, reinventando continuamente la forma romanzo e aggiungendo da questo punto di vista un ulteriore tassello alla ricerca sviluppata nelle opere precedenti.
Libro di idee. Una mare magnum di idee che si rincorrono, aprono porte su camere sconosciute oppure si arrestano davanti a un vicolo cieco. Idee che non cercano la coerenza ma traggono linfa dall'ambiguità nella quale si generano e volano alla ricerca di un luogo dove far dialogare realtà e fantasia, presenza e assenza, un luogo simile alla stanza tutta per sé di Virgina Woolf: la porta come via di fuga, passaggio verso un'altra dimensione, speranza di salvezza.

Curioso che tra tutti i riferimenti a Cortázar dei quali è disseminato Montevideo, sia quello a Componibile 62 – che compare quasi per caso – il più rilevante. Anche nel romanzo dello scrittore argentino infatti, ritroviamo la ricerca di un varco, un passaggio verso una zona ideale, un spazio di libertà che assomiglia molto a quella zona di ambiguità, quel regno di possibilità verso cui tende la ricerca di Vila-Matas.

domenica 19 gennaio 2025

Il ponte sulla Drina– Ivo Andrić

 


Il ponte sulla Drina– Ivo Andrić
(trad. Bruno Meriggi)
Mondadori editore (I ed. 1945)

"La vita è un miracolo impenetrabile, perché si consuma e si disfà incessantemente, eppure dura e sta salda come il ponte sulla Drina."

Lo stile di Andrić è quello che ritroviamo in Kiš e in Pavić: il respiro delle terre slave, l'incrocio di culture e religioni diverse, storie che sembrano rubate dalle Mille e una notte, un calamo di reale e fantastico nel quale hanno intinto la penna scrittori di talento.
Un viaggio lungo quattrocento anni lungo la frontiera che divide l'Est dall'Ovest; il ponte di Višegrad come metafora di una linea che unisce storia e epica, Oriente e occidente, favolistica e romanzo, vecchi e giovani, mutamento e tradizione. Perché il ponte unisce, non divide. E resiste – sempre uguale a se stesso – al passare del tempo, mentre la vita scorre sotto le sue arcate come le acque del fiume Drina, a volte impetuosa, a volte lenta.
La grande capacità affabulatoria dell'autore si esprime non solo attraverso le decine di racconti di esistenze diverse che intreccia mescolando storia e leggenda con penna sicura, ma anche nel ritmo che riesce ad imprimere alla narrazione dimostrando di saper leggere perfettamente la storia. Fino agli eventi della seconda metà dell'Ottocento, infatti, il romanzo si caratterizza per una scrittura ampia, raccontando i momenti di conflitto e di sostegno reciproco tra le comunità turche, ebraiche e cristiane di Višegrad; è un equilibrio che sembra quasi cristallizzato, almeno fino al 1878, quando l'occupazione austriaca mette in moto il motore della storia. Fino ad allora i mutamenti erano stati soli politici ma dall'ultimo quarto del XIX secolo diventano anche sociali e si crea una linea di frattura destinata ad allargarsi sempre più. Se all'inizio il conflitto tra nuovo ed antico trova un equilibrio, con la vita esteriore che procede secondo i dettami del progresso e quella interiore che lavora nel silenzio, le nuove idee acquisteranno spazio sempre più rapidamente, precipitando la storia lungo un piano inclinato che culmina nel 1914, anno spartiacque tra due epoche.
Con un ritmo che diventa stringente, Andrić interpreta in maniera splendida la velocità del cambiamento, identificando nella ferrovia prima e nella stampa poi i principali vettori del nuovo che avanza e nella generazione dei "giovani ribelli" il protagonista della nuova era. Sono ragazzi istruiti, che portano le idee di libertà e dignità dell'individuo in un ambiente che era vissuto per centinaia d'anni all'interno di una bolla. La parola come succedaneo dell'azione, l'idea come succedaneo della realtà: è una generazione ricca di illusioni e che vuole cambiare il mondo, ma si sa che di buone intenzioni… L'accelerazione impressa agli avvenimenti si rivelerà un Moloch ingovernabile, principi, valori e punti di riferimento che vigevano da secoli saranno rimpiazzati da disordine e confusione, che culmineranno con la tragica caccia al serbo.
"nella vita non c'è niente di risolto, niente si risolve, né esiste la possibilità di soluzioni complete, ma tutto è difficile e ingarbugliato."