domenica 28 giugno 2009

Una barca chiamata Desiderio


Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.

[Henri Laborit: "Elogio della fuga"]

sabato 27 giugno 2009

Sulla riva del mare

Dal momento che mi trovo sulla riva del mare, dal mare posso imparare. Nessuno ha il diritto di pretendere dal mare che sorregga tutte le imbarcazioni o di esigere dal vento che riempia costantemente tutte le vele. Così nessuno ha il diritto di pretendere da me che la vita divenga una prigione al servizio di certe funzioni. Non il dovere prima di tutto, ma prima di tutto la vita! Come ogni essere umano, devo avere diritto a dei momenti in cui posso farmi da parte e sentire di non essere solo un elemento di una massa chiamata popolazione terrestre, ma di essere un'unità che agisce autonomamente.
[Stig Dagerman: "Il nostro bisogno di consolazione"]

mercoledì 24 giugno 2009

Luoghi e luoghi


Un giorno non esistevo, un giorno, non esisterò. Tra questi due istanti di indifferenza del mondo, mi sforzo di esistere. E' una modalità ondeggiante, agitata da turbini, disorientata.
Tra queste due assenze, andiamo dove ci conducono i nostri passi, calpestiamo il mondo e i suoi luoghi.
Ci sono luoghi e luoghi. Quelli belli, quelli famosi o molto brutti in fin dei conti ci lasciano indifferenti. Al massimo interessano il nostro versante culturale, il più mediocre. I luoghi veri, quelli che ci generano, quelli che catturano la memoria, sono quelli che ci hanno visto fuori di noi stessi, che hanno ospitato il nostro eccesso, l'ammissione o il terrore dei nostri desideri, tutti quelli che furono il letto di un capovolgimento.

[Yasmina Reza: "Al di sopra delle cose"]

domenica 21 giugno 2009

Cosa gli interessava (1933)

Cosa mi interessa: Lo scrivere poesia e l'apprendere dalla poesia cose diverse. La prosa. L'illuminazione, l'ispirazione, la lucidità, una coscienza superiore e tutto ciò che ha a che fare con esse. Le vie per raggiungerle. Il trovare un mio modo per raggiungerle. Conoscenze diverse, ignote alla scienza. Lo zero e il numero. I numeri, in particolare se non legati da un ordine sequenziale. I segni, le lettere. I caratteri tipografici e le calligrafie. Tutto ciò che è logicamente privo di senso e assurdo. Tutto ciò che suscita il riso. L'umorismo. La stupidità. I pensatori naturali. I presagi, quelli antichi e quelli nuovi inventati non importa da chi. Il miracolo. I giochi di prestigio (senza marchingegni). I rapporti interpersonali umani, privati. La buona educazione. I volti umani. Gli odori. Il superamento della schifiltosità. Lavarsi, nuotare, il bagno. La pulizia e la sozzura. Il cibo. La preparazione di alcuni piatti. Una tavola da pranzo apparecchiata. La sistemazione di un appartamento e di una camera. Gli abiti, da uomo e da donna. Le questioni circa il modo di portare i vestiti. Il fumare (la pipa e il sigaro). Cosa fanno gli uomini quando sono soli con se stessi. I quadernetti di appunti. Lo scrivere sulla carta con l'inchiostro o con la matita. Carta, inchiostro, matita. La registrazione quotidiana degli avvenimenti. Annotare le condizioni del tempo. Le fasi della luna. L'aspetto del cielo e dell'acqua. La ruota. I bastoni, i bastoni da passeggio, gli scettri. Un formicaio. I cani piccoli a pelo liscio. La cabala. Pitagora. Il teatro (quello che sento mio). Il canto. Il servizio e il canto religioso. Tutti i tipi di riti. Gli orologi da tasca e i cronometri. Lo sparata inamidato della camicia. Le donne, ma soltanto quelle del tipo che preferisco...

[Daniil Charms: "Casi"]

sabato 20 giugno 2009

Quanti Cesari sono stato! (Tra sogno e realtà)

La vita è per noi ciò che immaginiamo in essa. Per il contadino per il quale il suo campicello è tutto, quel campo è un impero. Per il Cesare al quale non basta il suo impero, quell'impero è un campo. Il povero possiede un impero; il grande possiede un campo. Ma in verità non possediamo altro che le nostre sensazioni; in esse, dunque, e non in ciò che esse credono, noi dobbiamo basare la realtà della nosra vita.
Questo non viene a proposito di nulla.
Ho sempre sognato molto. Sono stanco di aver sognato, ma non sono stanco di sognare. Nessuno si stanca di sognare, perchè sognare è dimenticare e il dimenticare non pesa ed è un sonno senza sogni fatto in stato di veglia. In sogno ho raggiunto tutti gli scopi. Talvolta mi sono anche risvegliato, ma cosa importa? Quanti Cesari sono stato! E i gloriosi, che meschini! Cesare salvato dalla morte dalla generosità di un pirata, lo fa crocifiggere appena l'ha catturato dopo un'accurata ricerca. Napoleone fa il suo testamento a Sant'Elena e lascia un'eredità a un facinoroso che aveva tentato di assassinare Wellington. Oh grandezza, pari alla grandezza d'animo della dirimpettaia strabica! Oh grandi uomini della cuoca di un altro mondo! Quanti Cesari sono stato e sogno ancora di essere!
Ma i Cesari che io non fui non sono Cesari reali. Sono stato davvero imperiale mentre sognavo, e dunque non sono mai stato nulla. I miei eserciti sono stati sopraffatti, ma la disfatta è stata bonaria e nessuno è morto. Non ho perso stendardi. Non ho sognato fino a quel punto dell'esercito [?] nel quale essi sarebbero apparsi al mio sguardo nel cui sogno c'è un'angolatura. Quanti Cesari sono stato, proprio qui, in Rua dos Douradores. E i Cesari che sono stato vivono ancora nella mia immaginazione; ma i Cesari che sono esistiti sono morti e la Rua dis Douradores, coè la Realtà, non può conoscerli.
Lancio la scatola di fiammiferi vuota verso l'abisso che è la strada, oltre il davanzale della mia finestra alta senza balcone. Mi alzo sulla sedia e mi metto in ascolto. Nitidamente, come se avesse un significato, la scatola di fiammiferi vuota risuona nella strada che intuisco deserta. Non c'è nessun altro rumore, oltre a tutti i rumori della città. Sì, i rumori della città di una domenica: tanti, indecifrabili, e tutti giusti.
Quale pochezza, nel mondo reale, costituisce la base delle meditazioni migliori! Il fatto di essere arrivato tardi per il pranzo, il fatto che i fiammiferi fossero finiti, il fatto che io abbia personalmente lanciato la scatola nella strada (ero di cattivo umore perchè avevo mangiato fuori orario), il fatto che fosse domenica, il preannuncio nell'aria di un brutto tramonto, il fatto di non essere nessuno al mondo - è tutta la metafisica.
Ma quanti Cesari sono stato!

[Fernando Pessoa: "Il libro dell'Inquietudine"]

mercoledì 17 giugno 2009

A D.

Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dite, i tuoi capelli lunghi marrone.
Ma d'aria siamo quasi, in tutte le stanze
dove ci fermiamo davanti a noi un momento
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano.

[Mario Benedetti: "Umana gloria"]

domenica 14 giugno 2009

Pagina di libro notturno

Sbarcai una notte di maggio
in un gelido chiaro di luna
dove erba e fiori erano grigi
ma il profumo verde.

Salii piano un pendìo
nella daltonica notte
mentre pietre bianche
segnalavano alla luna.

Uno spazio di tempo
lungo qualche minuto
largo cinquantotto anni.

E dietro di me
oltre le plumbee acque luccicanti
c'era l'altra costa
e i dominatori.

Uomini con futuro
invece di volti.

[Tomas Transtromer: "Poesia dal silenzio"]

sabato 13 giugno 2009

Dichiarazione di intenti

Non sono il nuotatore avvezzo al mare
che slancia con foga il braccio sopra l’onda
o il bambino attratto dall'ebbrezza
di abbandonarsi a schizzi e giochi d’acqua.
Io preferisco restarmene in disparte
e se mi avvicino è solo per guardare,
io sono di quella specie che predilige l’ideale
e lascia l’oggetto a chi lo vuole.
Col tempo ho affinato i miei strumenti
col tempo ho imparato a sublimare:
ascoltare il silenzio, il muto parlare
spogliarsi del peso del reale
scoprendo che senza è più facile volare.

[Lars W. Vencelowe: "Mater Mare"]

domenica 7 giugno 2009

Equilibrismi (Là).


Non essendo possibile aggiungere commenti sul suo sito, riprendo qui il post di Clelia Mazzini
per aggiungere qualche considerazione.


Qualsiasi movimento ha bisogno di un centro di gravità.
Dobbiamo riuscire a governare quel centro.
Heinrich von Kleist Il teatro delle marionette§ VIII


Il tema del centro di gravità, dell'equilibrio, della fune sulla quale camminare mi è particolarmente caro. Un pò come quello della difficoltà (impossibilità?) a comunicare e quello del doppio, del vero/falso.
La citazione di Clelia me ne ha fatta venire in mente un'altra, che vorrei condividere qui.
I Quattro quartetti (come le Elegie duinesi) sono un luogo al quale mi piace tornare spesso. Sento che in quei versi sono nascoste molte risposte alle mie domande e probabilmento proprio il fatto di non riuscire mai a comprenderli fino in fondo è la molla che mi spinge a rileggerli così spesso. Ogni volta è come entrare nello stesso prato e scoprire nuovi fiori, nuovi odori. In breve: per me sono vivi, continuano a vivere ogni giorno e a parlarmi. Sta a me cercare di capire quello che vogliono dirmi.


Al punto fermo del mondo che ruota. Nè corporeo nè incorporeo;
Nè muove daverso; al punto fermo, là è la danza,
Ma nè arresto nè movimento. E non la chiamate fissità,
Quella dove sono riuniti il passato e il futuro. Nè moto da verso,
Nè ascesa nè declino. Tranne che per il punto, il punto fermo,
Non ci sarebbe danza, e c'è solo la danza.
Posso soltanto dire: siamo stati, ma non so dire dove.
E non so dire per quanto tempo, perchè questo è collocarlo nel tempo.
L'intima libertà dal desiderio pratico, La liberazione dall'azione e dalla sofferenza, dalla spinta
Interna ed esterna, anche se circondate
Da una grazia del senso, una luce bianca che sta ferma e si muove,
Ehrebung senza moto, concentrazione
Senza eliminazione, insieme un mondo nuovo
E il vecchio fatto esplicito, capito
Nel completarsi della sua estasi parziale,
Nel risolversi del suo parziale orrore.
Eppure la concatenazione del passato e del futuro
Intessuti nella debolezza del corpo che cambia,
Protegge l'umanità dal cielo e dalla dannazione
Che la carne non può sopportare.
Il tempo passato e il tempo futuro
Non permettono che poca consapevolezza.
Essere consapevole è non essere nel tempo
Ma solo nel tempo il momento del nel giardino delle rose.
Il momento sotto la pergola dove la pioggia batteva,
Il momento nella chiesa piena di correnti d'aria all'ora che il fumo ristagna,
Possono essere ricordati, mischiati al passato e al futuro.
Solo col tempo si conquista il tempo.


[T.S. Eliot: "Quattro quartetti - Burnt Norton"]

sabato 6 giugno 2009

Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme (Ipse dixit).

La persona che ha una cosiddetta "depressione psicotica" e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette "per sfiducia" e per qualche altra convinzione astratta che il dare e l'avere della vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l'invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo io e voi se ci trovassimo davanti alla stessa finestra per dare un'occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l'altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano "No!" e "Aspetta!" riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.


[David Foster Wallace: "Infinite Jest"]