domenica 9 agosto 2009

L'ostaggio

L’ostaggio venne catturato di mattina presto. Molto presto. Lo colsero nel dormiveglia, in quella fase del sonno in cui non si sta più dormendo profondamente ma non si è ancora del tutto svegli. Uno stato a metà tra coscienza ed incoscienza, quando i pensieri non sono ancora sotto il controllo della parte razionale, ma neppure in completa balia del sogno. L’ostaggio venne catturato durante l’infanzia.
Fu un lavoro ben fatto, da professionisti. All’ostaggio non fu torto un capello, passò dalla libertà alla schiavitù dalla mattina alla sera, ma in maniera assolutamente indolore. Non si accorse di nulla, anche perché non avrebbe mai potuto sospettare delle persone che lo rapirono. Erano tutte facce note, degne della massima fiducia, alla presenza delle quali era abituato già da molto tempo, fin dalla nascita. L’ostaggio conosceva bene i suoi carcerieri, erano i suoi genitori.
Si trattò di un rapimento atipico. Nessuna richiesta di riscatto, nessuno che reclamò la liberazione del prigioniero. Molti sapevano, nessuno parlava. Nessuno si scandalizzò o protestò o sollevò la minima obiezione, sembra che questo genere di sequestri sia sempre stato considerato legale, una specie di diritto di proprietà che i genitori esercitano sui figli sin dalla notte dei tempi; educazione la chiamano, come se l’uso di un termine così rispettabile possa rendere meno barbara questa consuetudine.
Fu una forma sottile di rapimento, subdola per certi versi, forse anche crudele. Perché l’ostaggio non sapeva della sua condizione di ostaggio e credeva di essere libero. Non vedeva la catena che lo teneva legato, non vedeva le pareti della cella e si muoveva, pensava ed agiva come se le sue scelte fossero autonome, come se dipendesse da lui fare o non fare certe cose.
A dire il vero venne trattato con tutte le attenzioni. Non gli fecero mai mancare nulla, si presero cura di lui in maniera assidua, completa, costante. Probabilmente eccessiva. Parteciparono ad ogni momento della sua crescita, indirizzandolo lungo la strada che ritenevano migliore, lungo la strada che essi avevano scelto per lui.
L’ostaggio cresceva felice ed ignaro, andando alla scoperta di un mondo che era solo una parte, quella che gli lasciavano vedere. Sviluppò delle convinzioni, una morale e qualche fantasia. Quelle che gli permisero di sviluppare.
Diventò adulto, si fece una posizione, operò scelte anche importanti e tutto senza deviare mai dalla strada maestra. Perché non voleva, credeva lui. Perché non poteva, in realtà.
Verso sera accadde però l’imprevedibile. L’ostaggio iniziò ad accusare strani sintomi: irrequietezza, disagio, momenti di confusione alternati a sprazzi di lucidità. Le cose si fecero ai suoi occhi sempre più nebulose, indistinte, il sospetto prese ad insinuarsi tra le pieghe dei suoi pensieri. Il sospetto di non essere libero, di non esserlo mai stato, di non avere gli strumenti e la forza per liberarsi. Lottò a lungo con queste idee, si consumò alla ricerca di una via d’uscita. Furono ore terribili, poi ad un tratto credette di vedere tutto chiaramente. Si sollevò dal torpore, prese coscienza di se stesso e cominciò a correre. Sempre più veloce, sempre più lontano, con le gambe, con la mente, con la fantasia… Correva, correva a testa bassa a più non posso, cercando di non pensare a nulla, cercando solo di allontanarsi il più possibile. Quando sfinito alzò gli occhi vide che non era andato da nessuna parte, che non si era spostato di un millimetro dal punto di partenza. Una lacrima gli rigò la guancia, quindi cadde in un pianto dirotto, poi iniziò a piovere.
Lo trovarono al mattino presto vicino alla porta della cella. Sembrava che dormisse.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

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