Definiamo il linguaggio come il mezzo che ci serve per manifestare i nostri pensieri.
[...] La cosa più pericolosa di questa definizione è l'atteggiamento ottimistico con cui siamo soliti ascoltarla. Perchè ella stessa non ci assicura che mediante il linguaggio possiamo manifestare, con sufficiente adeguatezza, tutti i nostri pensieri. Non si compromette fino a tal punto, però tanto meno ci fa vedere limpidamente la verità rigorosa: che essendo impossibile all'uomo intendersi con i suoi simili, perchè è condannato a radicale solitudine, egli si sforza estenuamente di mettersi in contatto con il prossimo. Di questi sforzi il linguaggio è quello che riesce talvolta a dichiarare con maggior approssimazione alcune cose tra quelle che ci passano dentro. Niente più. Però, ordinariamente, non usiamo queste riserve. Al contrario, quando l'uomo si mette a parlare lo fa perchè crede che si accinge a dire quanto pensa. Ebbene, questo è quel che è illusorio. Il linguaggio non offre fino a tanto. Dice, più o meno, una parte di quel che pensiamo e pone un ostacolo insormontabile alla trasfusione del resto. Serve abbastanza bene per enunciati e prove matematiche; già a parlar di fisica comincia a farsi equivoco ed insufficiente. Però a mano a mano che la conversazione si occupa di temi più importanti di questi, più umani, più "reali", va aumentando la sua imprecisione, la sua torpidità e confusione. Docili al pregiudizio inveterato secondo cui parlando ci intendiamo, diciamo e ascoltiamo con tanta buona fede che finiamo molte volte per fraintenderci molto più che, se fossimo muti, cercassimo di indovinarci.
[Josè Ortega y Gasset: "La ribellione delle masse"]
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