domenica 10 novembre 2013

Tempi moderni


Il presente guarda dall'alto in basso il passato, e se per caso il passato fosse venuto dopo, guarderebbe dall'alto in basso il presente; ma nell'essenziale si rassomigliano, perché tanto qui quanto là l’essenziale è costituito dall'inesattezza e dalla dimenticanza delle differenze decisive. Il particolare viene scambiato per l’insieme, una lontana analogia per il compimento della verità, e il mantice svuotato di una grande parola viene rimbottito secondo la moda del tempo. La cosa è imponente ma non dura a lungo.
La gente che chiacchierava nei salotti di Diotima non aveva mai completamente torto, perché i loro concetti erano vaghi come le figure che si muovono fra il vapore di una lavanderia.
Tale sorta di gente si è sempre chiamata in tutti i secoli: i ”tempi moderni”. Quest’è una parola simile al sacco in cui si vorrebbero imprigionare i venti di Eolo; è la scusa costante per non mettere mai le cose a posto, cioè non al loro posto reale, ma nel presuntuoso contesto di un’assurdità. Eppure v’è in ciò il riconoscimento di un errore. La convinzione che sarebbe loro compito portare l’ordine nel mondo era stranamente viva in quelle persone. Se si volesse chiamare mezza intelligenza ciò che esse intraprendevano a tal scopo, bisognerebbe notare che proprio l’altra metà innominata o, per nominarla, la metà stupida, non mai esatta e giusta di quella mezza intelligenza, possedeva una forza inesauribile di rinnovamento e una grande fertilità. C’era vita in essa, mutevolezza, inquietudine, instabilità di opinione. Loro stessi dovevano ben sentire com'era. Li scuoteva, squassava i loro cervelli, essi appartenevano a un’epoca di nervosismo, e c’era qualcosa che non andava, ognuno si riteneva intelligente, ma tutti insieme si sentivano sterili. Se per di più avevano ingegno - e la loro imprecisione non lo escludeva affatto - l’interno del loro cervello era come vedere le intemperie e le nuvole, le ferrovie, i pali del telegrafo, gli alberi e le fiere e tutto il quadro animato del nostro caro mondo attraverso un angusto finestrino ingrommato; e nessuno se ne rendeva ben conto dal proprio, ma perfettamente dal finestrino degli altri.
Ulrich s’era preso una volta il divertimento di chiedere loro spiegazioni precise su ciò che pensavano; allora l’avevano guardato con disapprovazione, avevano definito la sua richiesta scetticismo e concezione meccanica della vita, e dichiarato che le cose più complicate si possono risolvere solo nel modo più semplice, cosicché i tempi nuovi, appena si saranno districati dal presente, avranno un aspetto semplicissimo. A differenza di Arnheim, Ulrich non fece loro nessuna impressione, e zia Jane gli avrebbe accarezzato il viso, e gli avrebbe detto: “Io li capisco benissimo; tu li infastidisci con la tua serietà”

[Rober Musil: "L'Uomo senza qualità"]

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