sabato 4 luglio 2015

Marco Denevi – Rosaura alle dieci



Un pessoano a Buenos Aires

Interessante romanzo di un autore argentino che non conoscevo. La storia è strutturata in quattro capitoli in ognuno dei quali un personaggio è chiamato a dare la sua spiegazione a proposito di un avvenimento accaduto nel racconto e, ovviamente, si tratta di quattro interpretazioni radicalmente diverse. A queste quattro parti ne segue poi una quinta nella quale al lettore verrà rivelata la verità "vera" dell'accaduto. 
Nulla di particolarmente originale, visto che il tema della frammentazione della realtà, del velo di Maia che maschera il reale, è un concetto schopenhaueriano e – se vogliamo – poco prima che fosse dato alle stampe Rosaura alle dieci (il romanzo di Devi è del 1955), anche Kurosawa aveva già detto qualcosa di simile in un suo film ( Rashomon è del 1950), l'autore argentino però ha il merito di aver costruito una trama che poggia su un'architettura ben congegnata, gestendo al meglio gli intrecci della storia e risolvendoli con scelte che riescono spesso a sorprendere il lettore. 
Un romanzo giocato sui tono della commedia con un buon approfondimento del protagonista, il pittore Camilo Canegato, sia per come emerge attraverso il ritratto che ne fanno gli altri interpreti del racconto, sia, soprattutto, quando è chiamato a testimoniare la sua verità. È questo il punto cruciale della storia, quello in cui si assiste alla mutazione del bruco in farfalla e l'omino un po' compatito e parecchio deriso da tutti spicca il volo trasformandosi in un personaggio di statura pessoana. 

...Per lei è difficile provare tutto questo. Perché lei è un uomo d'azione. Chi da sveglio si dedica all'azione, di notte non sogna. Se un giorno lei fa uno sforzo fisico intenso, di notte dorme come un tronco. Di qui tragga la regola generale. Si sogna di notte quando di giorno non si compiono le azioni che si dovrebbero compiere. Il sogno è la contropartita dell'azione. Il sogno notturno è come la polluzione notturna. Il sogno è attività trasformatrice, tramutata in fumo, liberata, lasciata sfogare. No, lei deve sognare poco. Ma io sì, io sogno. Il mio cervello è una fornace di sogni. E tutto questo sa perché? Perché di giorno vivo inibito, vivo legato... 

...E risvegliarmi per me è come risalire dal fondo del mare, come innalzarmi lentamente da un abisso oceanico fino alla superficie, come venire a galla coperto di licheni, grondante di verde, rigonfio di viscosità. No, non mi sveglio totalmente e di colpo. Il mio cervello sembra cotone imbevuto, sfrangiato, che stenta a ridiventare compatto. Per parecchio tempo i sogni continuano a macerarlo. Dico che sono sveglio, ma sogno. I sogni continuano a sembrarmi realtà. I volti che ho sognato, le cose che ho sognato, sono ancora lì, vivi, vivi, e mi circondano... 

- Tutti abbiamo sognato, una volta o l'altra, l'amore ideale. 
- Sì, ma non come me. Io ho sognato troppo, come le dicevo prima. Ho sognato al punto da far sì che il mio sogno penetrasse nella realtà. È stato un assorbimento totale dei miei sentimenti. Ho sognato Rosaura corpo e anima. L'ho avuta viva, viva davanti a me, con il suo viso, il suo sguardo, i suoi gesti, la sua voce. Intera.

Nel momento in cui Camilo Canegato apre il vaso di Pandora del suo animo, la potenza dell'esplosione è tale da lasciare poco spazio allo sviluppo degli altri personaggi, caratterizzati soprattutto attraverso il linguaggio (forse Denevi accentua un po' troppo l'eloquio forbito del quasi avvocato David Réguel) e i comportamenti (insistendo magari in maniera eccessiva sui modi da zitella acida della signorina Eufrasia Morales, ridotta nel ruolo di "macchietta"). 
Peccati veniali, però, che – come detto – che il senso della storia sta nel far venire a galla il vissuto nascosto di Canegato: sentimenti a lungo compressi che deflagrano provocando una marea che tracima in ogni direzione e travolge tutto quello che trova sul suo percorso. 
Romanzo interessante, davvero.

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