Tra Kafka e Saramago
Romanzo che, sorprendentemente, prende
le mosse da una domanda tipica della produzione saramaghiana dagli
anni '80 in poi: cosa succederebbe se?
Se la penisola iberica si staccasse
dall'Europa (La zattera di pietra), se gli uomini diventassero
improvvisamente ciechi (Cecità), se non si morisse più (Le
intermittenze della morte), se alle elezioni tutti votassero
scheda bianca (Saggio sulla lucidità), sono alcuni degli
incipit usati dal mastro di Azihaga e cosa succederebbe se di colpo
ci trovassimo tra gente che non parla la nostra lingua è quello del
libro di Karinthy.
Un romanzo distopico, il dramma di un
uomo condannato a vivere in un mondo nel quale non riesce a farsi
capire ma del quale è costretto ad accettare le regole. Un mondo che
da l'impressione di correre verso il nulla, in cui tutti vanno di
fretta oppure sono in coda per ottenere qualcosa, ma in un caso o
nell'altro sono indifferenti al dramma che il protagonista vive.
Nessuno ha tempo da perdere con lui, le cose sembrano succedersi
senza un motivo preciso e anche una rivolta popolare che scoppierà
inspiegata e improvvisa, altrettanto rapidamente verrà repressa e
dimenticata.
A rischiarare il buio nel quale le
circostante hanno precipitato il povero Budai sarà (non a caso) una
donna (Epepe, Pepe, Dede, Veve, Bebe, Edede o come diavolo si
chiama...), l'addetta agli ascensori dell'albergo, l'unica persona
con la quale il protagonista del romanzo riuscirà a stabilire un
abbozzo di contatto. Una comunicazione destinata a scorrere più a
livello emotivo che verbale, nella quale Budai per la prima volta
proverà ad abbandonare il consueto terreno della razionalità, fatta
di mille tentativi tanto ingegnosi quanto infruttuosi di comprendere
l'alfabeto di quello strano posto, per affidarsi al cuore,
sforzandosi di prestare attenzione non più ai suoni che escono dalla
bocca di Epepe quanto al tono della sua voce, alle inflessioni, ai
gesti, per provare a interpretare con l'immaginazione quello che la
ragazza dice. Una comunicazione giocata sul piano della sensibilità,
quel tipo di relazione che, sembra dire Karinthy, si può
sperimentare solo con una donna.
Epepe è un romanzo sulla
difficoltà e insieme sulla necessità di comunicare e su come un
corto circuito di questo meccanismo possa condurre all'alienazione.
Difficile non leggere in queste pagine anche un riferimento politico:
il libro è del 1970, scritto poco dopo i fatti della Primavera di
Praga e le code, la sensazione di straniamento, di vivere sotto un
giogo, di non aver voce e, soprattutto, la rivolta repressa nel sangue
e cancellata il mattino dopo come se non fosse mai esistita,
sembrerebbero riferimenti abbastanza precisi a quello che succedeva
in quegli anni nell'Europa dell'Est.
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