sabato 2 gennaio 2016

Witold Gombrowicz – Cosmo


Il mondo era davvero una specie di paravento…

Cosmo è un romanzo da prendere con le molle.
Gombrowicz gioca a nascondersi e lo fa travestendo da farsa il dramma, mettendo in scena una scombinata investigazione “simil-poliziesca” figlia della noia di due giovani amici, che dovrebbe indurre al riso se non celasse il tentativo folle e disperato di indagare tra le pieghe del caos con gli strumenti della logica per scoprire le leggi che lo regolano. Il tutto espresso attraverso una scrittura che definirei “lussureggiante”, lontana mille miglia dal grigiore e dagli altri stereotipi della narrativa polacca.
Una passeggiata, allucinata e allucinante,  di due fuori-di-testa, che cercano di trovare un senso nelle cose che un senso non hanno. Così, in estrema sintesi, potrebbe essere riassunta la trama del romanzo.
Indagare l’ordine delle cose, dunque. Con la certezza di trovarci, alla fine, con un pugno di mosche in mano, perché quello che riusciremo ad individuare sarà sempre uno degli infiniti ordini possibili, un ordine arbitrario, utile solo a noi per poter andare avanti, per cancellare possibili zone buie dal nostro percorso. E qual è lo strumento che utilizzeremo per svolgere il nostro compito? La logica, la vecchia, cara e usurata logica, che chiamata a confrontarsi con la natura finirà per mostrare tutti i suoi limiti. Troppo comodo aspettarci che sia lei a fare tutto il lavoro, sarebbe anche poco divertente. La logica può accompagnarci fino ad un certo punto, ma quando si arriva alle colonne d’Ercole lei si ferma e se vogliamo andare oltre ci tocca salire sulla barchetta di Ulisse e metterci alla prova confrontandoci con l’ignoto. Togliamo pure i se: andare oltre è obbligatorio, non possiamo non farlo, dobbiamo trascendere la nostra natura perché trascendere è la nostra natura.
Witold e Fucsio non fanno eccezione: non riescono a sottrarsi al compito che si sono dati di conferire un significato alle cose, di scoprire cosa il mondo cela dietro il suo paravento, di indagare il caos provando ad interpretarlo. Interessante notare come l’autore sottolinei il fatto che la loro sia un’indagine che nasce dalla noia e dalla solitudine, dal sentirsi esclusi uno dalla famiglia e l’altro dal datore di lavoro.
Cosmo è romanzo con i piedi ben saldi nel passato (e “ben saldi” può a ben diritto essere considerato un eufemismo, riferendoci qui al fatto che i due squinternati amici presentano più di un tratto in comune con il Cavaliere dalla Trista Figura…) e lo sguardo che apre ad un futuro quantomeno problematico (penso all’esistenzialismo e al teatro dell’assurdo): dopo il passaggio di Gombrowicz, quello che rimane sul campo sono solo macerie, una frammentazione della realtà, la parcellizzazione di tutto ciò che ci circonda. Ed è un processo irreversibile.
Witold è come noi, e noi come Witold ci aggiriamo spaesati per quel che resta del mondo alla ricerca di segnali,  credendo di comprendere le cose e di seguire un filo logico. Ingannandoci però, perché quel filo che stiamo seguendo è solo uno dei mille fili possibili, che aprono mille porte dietro alle quali ci sono altre mille porte e così via… E, come se non bastasse, ognuno di noi è solo (ritorna la solitudine come molla della ricerca di Witold) e prigioniero del suo mondo, di quel mondo che ha plasmato piegando le cose interpretandole secondo i suoi bisogni.
C’è poco da stare allegri: altro che farsa, qui ci troviamo nel pieno del dramma dell’uomo moderno! Gombrowicz è perfettamente consapevole del fatto che, inevitabilmente, un’analisi così impostata non potrà che condurre al cul-de-sac dell’inazione, alla paralisi, e per questo propone una via d’uscita, letteraria se non filosofica: l’azione. Il movimento è l’unico appiglio al quale possiamo provare ad aggrapparci, necessario per svelare l’inganno di un’analisi basata su congetture, quindi parziale, quindi inutile. L’azione crea la realtà, quella personale, quella di ognuno di noi (ma se la realtà deve essere creata, allora forse non esiste e così agendo si finisce per aggiungere altra confusione…).

Parere personale: credo che un posticino tra i grandi del Novecento, Gombrowicz se lo sia ampiamente meritato.

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