di cervello, coscienza e anima
Romanzo
breve, complesso e spiazzante. Un lungo
dialogo tra Andrew, scienziato cognitivo, e Doc, uno psicanalista forse, perché
l’identità dell’interlocutore del protagonista non è precisata. Dalla prima
alla terza persona, dal presente al passato, dal reale all’immaginato, dal
dialogo al monologo, il tutto ambientato in uno spazio che l’autore non si cura
di definire, lasciandolo alla nostra immaginazione.
La storia di un
uomo bersagliato dal destino ma anche complice del destino, almeno per alcune
delle sventure accadutegli, e che prova a guardarsi indietro manifestando
indifferenza (“affabile come sono,
generoso e disponibile come cerco di essere, alla fin fine non ho sentimenti,
nel bene e nel male”). La morte della figlia, il divorzio dalla moglie e
poi un nuovo amore: la speranza di un riscatto, della possibilità di riemergere
dal buio nel quale era finito… e di nuovo il destino a negargli questa chance.
Andrew si
dichiara un impostore e allarga la definizione a comprendere anche Doc e tutti
noi
“Siamo
tutti impostori, dottore, anche tu. Specialmente tu. Perché sorridi? Fingere è
il pane quotidiano del cervello. È quello che fa. Riesce perfino a fingere di
non essere se stesso. Ah sì? E che cosa sa fingere di essere, tanto per fare un
esempio? Be’, per lunghissimo tempo, e fino all’altro ieri, l’anima.”
Già, cervello,
coscienza, anima. Dove sono i confini, quali le sfere di competenza? Cosa
governa cosa? La strada che percorriamo è un andare per tentativi,
l’esplorazione di territori ai confini delle nostre possibilità, assecondando
la voglia di sapere e poi rilanciando con interrogativi nuovi. Cos’è la
felicità (se esiste)? Cosa succede a scrutare dentro se stessi? Come si deve
vivere? Ma soprattutto: quanto dobbiamo fidarci del cervello? Perché
“(l’anima)
è la finzione del cervello. Dobbiamo andarci cauti con i nostri cervelli.
Prendono le decisioni prima di noi. Ci conducono all’acqua ferma. Rinunziano al
libero arbitrio. E la cosa è ancora più bizzarra: se tagliate un cervello a
metà, emisfero sinistro ed emisfero destro continueranno a funzionare
autonomamente senza sapere l’uno cosa fa l’altro. Ma non state a pensarci,
tanto non siete voi a pensare. Limitatevi a seguire la vostra stella. A vivere
dando per scontata la vita costruita socialmente. Abolite la scienza. Credete
più o meno in Dio. Dimenticativi gli errori commessi. Offrite la vostra
giustificazione allo specchio del bagno.”
Questioni
destinate a rimanere aperte, domande per le quali non esistono risposte certe.
La ricerca di una spiegazione onnicomprensiva va, fatalmente, a sbattere contro
una realtà frammentaria, fatta di troppe cose, proprio come il gabbiano che ad
un certo punto della narrazione si schianta contro il vetro di una finestra.
E allora? Come
uscire da questo impasse? Con un coup de théâtre, ad esempio, come una
verticale eseguita dal protagonista nello Studio Ovale della Casa Bianca, davanti
al Presidente ed al suo staff allibito. Un “infinite jest” che segna una
svolta, forse una resa, sicuramente un punto di non ritorno: da “Grande
Impostore” a “Pazzo Santo”, un modo per difendersi, proprio come
“Le
sciocchezzuole inventate da Twain accanto al letto delle sue figlie. Che lui le
protegge, e che il mondo è un posto sicuro e confortevole adesso che devono
fare la nanna. Che quando saranno grandi si ricorderanno di questa favola e
rideranno d’amore per il loro padre. Che questo è il suo riscatto.”
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