sabato 20 febbraio 2016

Antonio Di Benedetto – L’uomo del silenzio




“Potrò essere solo a certe condizioni. Quali non lo so.”



La storia di un’ossessione, quella dell’uomo senza nome protagonista del romanzo per il rumore, rumore che fa il suo ingresso in scena già alla seconda riga (Apro il cancello e trovo il rumore) e che viene presentato come qualcosa di concreto più che entità astratta (lo cerco con lo sguardo, quasi fosse possibile determinare la sua forma e il limite della sua vitalità).

All’inizio è solo un disturbo, frastuono che proviene dalla strada e si limita ad infastidire il protagonista quando è in casa, ma nel corso della storia si dilaterà a dismisura fino a diventare ingovernabile, monomania in grado di fare da innesco per l’esplosione di quel malessere che il giovane non riesce più a comprimere dentro di sé.

Un uomo solo, che frequenta un strano e contorto amico di nome Besarion, con il quale non riesce ad avere un rapporto confidenziale ma solo conversazioni superficiali, ed è invaghito di una ragazza, Leila, una vicina di casa alla quale non riuscirà mai a dichiarare i suoi sentimenti, finendo poi per sposarne l’amica, Nina, più per indolenza che per amore (Sposerò Nina. È la cosa più facile, sì, molto più facile di tutto il resto.).

Un uomo freddo, apatico, che si sorprende della considerazione qualcuno può avere per lui (“Perché mi accetta?” – chiede a Nina – “Perché lei è buono e per bene.” “Sono buono e per bene?”), e che non riesce a provare alcuna forma di empatia per gli altri.

Un uomo che vive veramente solo nella sua immaginazione, nei suoi sogni, come quello del romanzo che vorrebbe scrivere senza però iniziarlo mai, ma che se non altro gli fornisce il conforto necessario per andare avanti (forse questo è il fausto giorno in cui comincerò il mio libro. Ce l’ho quasi tutto nella testa. Mi basta sceglierne un inizio: cosa dire per primo, con cosa cominciare. Seduto allo scrittoio, ci rifletto, e le creature che ho pensato già fanno quel che devono per vivere il dramma prefissato. Ho detto loro di camminare, e camminano. Mi meraviglio della magia del mio pensiero. Reclino la testa e mi assopisco. Sono felice e questo mio riposo è meritato).

Un personaggio simile in tutto e per tutto al Bernardo Soares di possoana memoria: un sognatore, ma forse anche un immaturo, uno che preferisce la fuga al confronto, che ha paura di assumersi delle responsabilità e appena può scappa in solaio a giocare da solo con i suoi soldatini. Un uomo lacerato, come lo definisce Besarion, senza sapere cos’è che lo lacera.

Gli altri, la gente, i vicini, sono nemici, fabbricatori di rumori e di disturbo, da evitare prima e combattere poi, in un crescendo che diventa drammatico con il procedere della trama.

Perché tanto accanimento nei confronti del rumore? Perché secondo il protagonista è ciò che gli impedisce la concentrazione, ma questa è solo una scusa, una giustificazione che racconta agli altri sperando di convincere anche se stesso, perché in realtà il problema è che non sa su cosa concentrarsi: il protagonista è un guscio vuoto, senza obiettivi, ambizioni, aspirazioni. Questo è il vero dramma, il dramma dell’uomo moderno che dopo essersi calato nei labirinti della coscienza scopre di aver perso il filo che lo legava all’esterno (Besarion tenta di essere, finge di essere, pur di non essere. Non essere che cosa? Non essere chi? Se stesso. Besarion tende decisamente a non essere. E io, tendo a non essere?... no, tendo a essere. Non me lo permettono. Interferiscono, mi bloccano. Potrò essere solo a certe condizioni. Quali non lo so, Lo intuisco appena.).

Atmosfera kafkiana per una scrittura che per il rigore e la freddezza delle frasi brevi, secche come sentenze, mi ha ricordato Lo straniero di Camus. Ma Di Benedetto è scrittore argentino e come tale non può far mancare tra le pagine quegli squarci di luce tipici della letteratura sudamericana (il sole che si prodiga sul tavolo della stanza da pranzo, il giorno che non è altro che latticello acquoso alla finestra). Leggo sulla quarta di copertina che la rivista La Nacion ha definito l’autore “uno dei segreti meglio custoditi della letteratura nazionale”: ecco, sono contento che questo segreto sia stato finalmente svelato.

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