Libro di una bellezza
struggente, che testimonia la superiorità della (grande) letteratura sulla
realtà. Di fronte all’angosciante situazione personale, politica e sociale che
si trovava a vivere, Schulz reagisce rifugiandosi nell’immaginazione, costruendo
una cosmogonia che ha al centro il padre-demiurgo, personaggio dai tratti
donchisciotteschi, al quale fa da contraltare la domestica Adela, figura che
incarna il potere della ragione che si oppone e schiaccia la fantasia.
Le botteghe color cannella è un viaggio sorprendente, una cavalcata attraverso i tentativi del
padre e poi anche del figlio di rompere le maglie di una realtà che ha imprigionato
gli uomini nel ruolo di attori per farsi protagonisti, creatori di un loro
mondo. Si tratta di tentativi attuati in maniera diversa ma accomunati dal
carattere della provvisorietà, dal fatto che entrambi non si propongono di arrivare
per forza a un risultato concreto; proprio perché sono giocati nel campo della
fantasia, questi tentativi devono rimanere sul lato del possibile e non su
quello del certo, in maniera da poter sempre essere alimentati da nuova linfa,
da nuove idee.
Il tentativo prometeico
del padre è ben esplicato nell’esposizione del “Trattato dei manichini”, teoria
con la quale egli dichiara di voler diventare creatore “in minore”, di una
sfera più piccola rispetto a quella del divino, ma con una sua identità ben
definita:
Troppo a lungo abbiamo vissuto sotto l'incubo
dell'irraggiungibile perfezione del Demiurgo, diceva mio padre, troppo a lungo
la perfezione della sua opera ha paralizzato il nostro slancio creativo. Non
vogliamo competere con lui. Non abbiamo l'ambizione di eguagliarlo. Vogliamo
essere creatori in una sfera nostra, inferiore, aspiriamo a una nostra
creazione, aspiriamo alle delizie della creazione, aspiriamo, in una parola,
alla demiurgia.
Il tentativo del
figlio invece è affidato al racconto
dell’”Epoca geniale”, periodo della vita del protagonista in cui egli si
proporrà di perseguire gli stessi scopi del padre con strumenti diversi (il
disegno) e soprattutto con la ricerca di simboli, quali il Libro, l’Autentico, il
depositario del sapere universale, che prende vita e vigore dalla natura
mortale degli altri libri, mentre lui non può finire, ma si espande durante la
lettura.
I racconti de Le botteghe color cannella sono un
caleidoscopio di colori, odori, sapori, un fluire di pensieri fantastici che si
spandono in ogni direzione, un’esplosione di trovate alla quale si fatica a
star dietro: dall’idea di far covare uova di uccelli esotici da galline locali con
il risultato di ritrovarsi con strani animali per casa, alla Via dei Coccodrilli,
grigio quartiere della città nel quale le carrozze circolano senza conducente,
i tram sono sventrati e spinti da facchini e i treni non si sa quando
passeranno e dove si fermeranno.
E poi ancora: la trasformazione
del padre in scarafaggio e successivamente la sua ricomparsa in vita dopo la
morte (se è davvero morto) sotto forma di gambero o di scorpione, la storia di
Francesco Giuseppe I e di suo fratello (se è davvero suo fratello) e il
richiamo in vita di una serie di personaggi storici con i quali il protagonista
si imbarca in una strampalata avventura che non arriverà alla conclusione perché
egli abdicherà al suo ruolo di guida. Ci sono gli studi di “meteorologia
comparata” del padre che spiega il prolungarsi dell’estate nell’autunno con l’influenza
della mielosità dell’arte barocca che finirebbe con l’influenzare anche il
clima, e la possibilità di rallentare il tempo, sospenderlo, cancellarlo, fino
ad avere tanti tempi individuali al posto di un tempo assoluto, c’è il “mesmerismo”,
l’idea dell’uomo come stato transitorio della materia e la teoria della Natura
che sfrutterebbe gli esperimenti dell’uomo per un fine che non conosciamo… Insomma: Le botteghe color cannella è un fiume
che ha rotto gli argini e si spande in ogni direzione nel tentativo di sfuggire
all’obbligo di correre all’interno di quelle sponde nelle quali è da sempre
stato costretto, un fiume scosso dalla curiosità, animato dalla voglia di
vedere cosa c’è dall’altra parte, in quei territori che gli sono sempre stati
proibiti.
Nei Diari, Gombrowicz ha per l’amico (?)
Schultz parole al vetriolo e lo definisce
un masochista, impaurito dalla sola idea di esistere; respinto dalla vita, si
muoveva di soppiatto ai suoi margini, aggiungendo poi che Schulz era l’autoannullamento nella forma:
il pazzo annegato. Io (ça va sans dire…)
ero l’aspirazione a raggiungere, attraverso la forma, il mio “io” e la realtà,
il pazzo ribelle.
Sorprendente? Fino a
un certo punto. Ovvio che una personalità strabordante ed egocentrica come Gombrowicz
cercasse di sminuire l’importanza di Schulz: lui era un’ape regina e non
tollerava che qualcuno potesse fargli ombra, tantomeno un amico, tantomeno uno
che pescava nel suo stesso mare. Ingeneroso, certo, ma per quel che mi riguarda
il suo posto nel Pantheon dei Grandi del Novecento Gombrowicz se l’è
conquistato con i suoi romanzi più che con qualche rancoroso giudizio.
Tornando ab ovo: considero Le botteghe color cannella lettura consigliata a tutti ma necessaria
a quelli che credono nel potere magico della Letteratura. Per loro questo sarà
un libro iniziatico, il Libro, l’Autentico. E Schulz il Messia.
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