sabato 16 febbraio 2019

Roberto Arlt – L'amore stregone



Perché anelo alla purezza e mi rotolo nel sudiciume?

L'amore stregone è la storia di un uomo, l'ingegner Estanislao Balder, che a dispetto delle convenzioni dell'epoca (siamo negli anni Trenta) decide di lasciare moglie e figlio per una ragazza di cui si è invaghito.
Trama piuttosto debole, soprattutto se confrontata con quella dei romanzi "pirotecnici" a cui ci ha abituato Roberto Arlt, anche perché qui l'autore argentino sembra divertirsi a confonderci sfoderando uno stile narrativo per lui inconsueto e che ricorda quello del romanzo romantico. È una parodia, ovviamente, perché già dal titolo del primo capitolo, "Balder va alla ricerca del dramma", si intuisce che ci troviamo piuttosto al cospetto di un romanzo psicologico (dostoevskijano, verrebbe da dire, seppure con molti distinguo).
I personaggi dell'opera sono tratteggiati con cura e ben si prestano ad un'analisi delle personalità: la contraddittorietà è la cifra che li caratterizza, a cominciare da Balder. Un cinico che però si innamora, un uomo che sente forte il bisogno di prendersi gioco di sé e degli altri, sincero e commediante al tempo stesso. Dall'altra parte c'è Irene, la sedicenne dall'espressione "gattesca", silenziosa e caparbia, in apparenza timida ma in realtà molto sicura di sé, una ragazzina della quale Balder è invaghito ma che sospetta viva solo per l'appagamento del suo piacere, un'egoista senza morale perfettamente a suo agio nel conformismo dell'ambiente.
Ambivalenti sono i sentimenti che Estanislao prova per la giovane ("volevo starle vicino e lontano, mi piaceva e non mi piaceva. D'istinto, ma in modo vago, sentivo che mi conveniva allontanarmi, e mi mancava il carattere per prendere quella decisione"). Ambivalente è in generale il suo modo di sentire e per tutto il romanzo lo vediamo oscillare sospeso tra l'indolenza della coscienza e l'aspirazione ad un'esistenza eroica dell'anima ("Perché anelo alla purezza e mi rotolo nel sudiciume?", si chiede, "Soffro per tutte le disgrazie che provocherò. E tuttavia, avanzo verso questo meccanismo di sventure come se fossi ipnotizzato").
È su questa ambivalenza che insiste Arlt, probabilmente per dimostrare come l'individuo sia ben di più dell'insieme delle sue parti e come sia difficile classificare qualcuno solo sulla base dei suoi comportamenti, perché la personalità di un uomo è qualcosa di più complesso di quello che crediamo e soprattutto è contraddittoria al punto che ritenere di conoscere qualcuno sino in fondo si rivela una chimera, una delle tante illusioni che spacciamo per certezze.
L'analisi dell'autore è sferzante, parte dal singolo ma arriva ad interessare anche la società e il suo perbenismo di facciata, al punto da far concludere Balder che "siamo tutti degli ipocriti. La verità è che siamo dei commedianti senza coraggio". Come sfuggire allora alla palude dell'ipocrisia dilagante? Rifugiandosi nell'illusione che "nella mia vita accadrà qualcosa di straordinario". Un sogno con il quale il protagonista del romanzo si balocca, perseguendone la realizzazione senza mai spingere fino in fondo sull'acceleratore per il dubbio di non essere lui l'artefice del gioco ma solo una pedina, di non essere lui il manipolatore ma il manipolato. E pure, anche sospettando di essere vittima del disegno di altri, Balder non riesce a sottrarsi al processo che porterà al suo annientamento. Ne è attratto, vuole vedere come andrà a finire, vuole percorrere fino in fondo il "cammino tenebroso" per arrivare a scoprire la "somma perfezione del male" e sapere così se al termine della sfida finale sarà stato annientato o ne uscirà più forte.
Quello che ci aspetta è però un finale aperto, perché il giocatore (per tornare a Dostoevskij) è condannato in eterno al suo ruolo perché attratto dal gioco più che dal suo esito. Anche una possibile vittoria non potrà mai soddisfarlo appieno, anzi finirà per legarlo ancora di più, costringendolo a tornare a sedersi al tavolo e puntare di nuovo le sue fiches.

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