Perché anelo alla purezza e mi
rotolo nel sudiciume?
L'amore
stregone è la storia di un
uomo, l'ingegner Estanislao Balder, che a dispetto delle convenzioni dell'epoca
(siamo negli anni Trenta) decide di lasciare moglie e figlio per una ragazza di
cui si è invaghito.
Trama piuttosto debole,
soprattutto se confrontata con quella dei romanzi "pirotecnici" a cui
ci ha abituato Roberto Arlt, anche perché qui l'autore argentino sembra
divertirsi a confonderci sfoderando uno stile narrativo per lui inconsueto e che
ricorda quello del romanzo romantico. È una parodia, ovviamente, perché già dal
titolo del primo capitolo, "Balder va alla ricerca del dramma", si
intuisce che ci troviamo piuttosto al cospetto di un romanzo psicologico
(dostoevskijano, verrebbe da dire, seppure con molti distinguo).
I personaggi dell'opera sono
tratteggiati con cura e ben si prestano ad un'analisi delle personalità: la
contraddittorietà è la cifra che li caratterizza, a cominciare da Balder. Un
cinico che però si innamora, un uomo che sente forte il bisogno di prendersi
gioco di sé e degli altri, sincero e commediante al tempo stesso. Dall'altra
parte c'è Irene, la sedicenne dall'espressione "gattesca", silenziosa
e caparbia, in apparenza timida ma in realtà molto sicura di sé, una ragazzina
della quale Balder è invaghito ma che sospetta viva solo per l'appagamento del
suo piacere, un'egoista senza morale perfettamente a suo agio nel conformismo
dell'ambiente.
Ambivalenti sono i sentimenti che
Estanislao prova per la giovane ("volevo starle vicino e lontano, mi
piaceva e non mi piaceva. D'istinto, ma in modo vago, sentivo che mi conveniva
allontanarmi, e mi mancava il carattere per prendere quella decisione").
Ambivalente è in generale il suo modo di sentire e per tutto il romanzo lo
vediamo oscillare sospeso tra l'indolenza della coscienza e l'aspirazione ad
un'esistenza eroica dell'anima ("Perché anelo alla purezza e mi rotolo nel
sudiciume?", si chiede, "Soffro per tutte le disgrazie che
provocherò. E tuttavia, avanzo verso questo meccanismo di sventure come se
fossi ipnotizzato").
È su questa ambivalenza che
insiste Arlt, probabilmente per dimostrare come l'individuo sia ben di più
dell'insieme delle sue parti e come sia difficile classificare qualcuno solo
sulla base dei suoi comportamenti, perché la personalità di un uomo è qualcosa
di più complesso di quello che crediamo e soprattutto è contraddittoria al
punto che ritenere di conoscere qualcuno sino in fondo si rivela una chimera,
una delle tante illusioni che spacciamo per certezze.
L'analisi dell'autore è sferzante,
parte dal singolo ma arriva ad interessare anche la società e il suo perbenismo
di facciata, al punto da far concludere Balder che "siamo tutti degli
ipocriti. La verità è che siamo dei commedianti senza coraggio". Come
sfuggire allora alla palude dell'ipocrisia dilagante? Rifugiandosi
nell'illusione che "nella mia vita accadrà qualcosa di
straordinario". Un sogno con il quale il protagonista del romanzo si
balocca, perseguendone la realizzazione senza mai spingere fino in fondo sull'acceleratore
per il dubbio di non essere lui l'artefice del gioco ma solo una pedina, di non
essere lui il manipolatore ma il manipolato. E pure, anche sospettando di
essere vittima del disegno di altri, Balder non riesce a sottrarsi al processo
che porterà al suo annientamento. Ne è attratto, vuole vedere come andrà a
finire, vuole percorrere fino in fondo il "cammino tenebroso" per
arrivare a scoprire la "somma perfezione del male" e sapere così se
al termine della sfida finale sarà stato annientato o ne uscirà più forte.
Quello che ci aspetta è però un
finale aperto, perché il giocatore (per tornare a Dostoevskij) è condannato in
eterno al suo ruolo perché attratto dal gioco più che dal suo esito. Anche una
possibile vittoria non potrà mai soddisfarlo appieno, anzi finirà per legarlo
ancora di più, costringendolo a tornare a sedersi al tavolo e puntare di nuovo
le sue fiches.
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