Comprendere significa ricomporre
ciò che abbiamo visto solo in modo frammentario.
Repubblica
luminosa è il racconto della
comparsa e poi della morte di un gruppo di ragazzini in una cittadina
sudamericana; libro breve ma denso, con la narrazione in prima persona e a
posteriori fatta, da uno degli adulti che parteciparono agli avvenimenti e che
si sviluppa con uno stile che ricorda quello giornalistico.
"Comprendere significa
ricomporre ciò che abbiamo visto solo in modo frammentario", dice la voce
narrante, ma comprendere davvero, sembra suggerire l'autore, è spesso
impossibile e allora quello che rimane da fare è raccontare.
Trentadue bambini appaiono
improvvisamente a San Cristóbal, apparentemente "scaturiti" dal fiume
che costeggia la cittadina tropicale, e costringono gli abitanti del luogo ad interrogarsi
sulla loro provenienza ma soprattutto su un mondo, quello dell'infanzia,
lontanissimo dal nostro e che appare una selva inestricabile, tanto più se il
gruppo che ci si trova davanti si muove seguendo regole che non conosciamo, con
gli individui che lo compongono che sembrano agire come parti di un organismo
unico. Un branco, che definiamo selvaggio perché è diverso da noi, che ci
preoccupa perché non siamo in grado di prevederne le mosse e a San Cristóbal,
come a qualsiasi altra latitudine, il diverso rappresenta una minaccia, anche
se si tratta di un gruppo di ragazzini. Il fatto che si parli di bambini,
costituisce anzi un pericolo ancora maggiore per l'integrità della società,
perché rischiano di influenzare i comportamenti degli altri ragazzi, dei
"nostri" ragazzi; c'è il pericolo che li confondano e che li facciano
uscire dai recinti all'interno dei quali li stiamo crescendo (per proteggerli, ça
va sans dire…). È necessario difendere l'integrità della società, non si può
permettere che essa rimanga troppo a lungo sotto lo scacco il "diverso"
deve essere respinto o meglio catturato e poi neutralizzato per fare in modo
che si possa riprendere a vivere secondo le nostre abitudini.
Ma Repubblica luminosa è molto di più di un apologo sulle nostre
paure, è (soprattutto) un libro che cerca di avvicinarsi all'universo
dell'infanzia sgombrando il campo dai filtri attraverso i quali abbiamo sempre
approcciato un mondo così lontano dal nostro. Bontà, innocenza, semplicità… sono
certamente tratti della fanciullezza ma non sono gli unici, sono semplificazioni
che usiamo illudendoci di "comprendere" ogni aspetto di quell'età e
di poterne così guidare la crescita senza farci troppi problemi. In realtà:
"sappiamo com'è l'amore dei bambini, - scrive Barba - ma riguardo al loro
odio le nostre idee sono elementari e spesso equivoche: pensiamo che il loro
questo sentimento si mescoli con la paura e pertanto con la fascinazione e
forse anche con l'amore o con una specie di amore, che l'odio nei bambini sia
formato da canali che uniscono alcuni sentimenti ad altri e che vi sia qualcosa
che li fa scivolare in quella direzione". Il mondo dell'infanzia è
complicato, più di quanto siamo disposti ad ammettere, come dimostra la discesa
di un gruppo di uomini nelle fogne del paese (la "città segreta")
alla ricerca dei bambini. Una caccia che rappresenta una splendida metafora del
tentativo degli adulti di "comprendere" i bambini, tentativo
destinato al fallimento perché condotto con i modi e con gli strumenti sbagliati.
Si tratta di due universi troppo distanti, anche per quanto riguarda il
linguaggio, per pensare di farli comunicare davvero.
Forse, alla fine di quella caccia,
un risultato gli adulti avrebbero potuto portarlo a casa: se avessero saputo
guardare davvero in profondità avrebbero sì potuto "comprendere"
qualcosa di più, ma su se stessi e sulla loro vulnerabilità.
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