Pil'njak è uno scrittore
difficilmente collocabile nel panorama letterario russo del primo Novecento
come testimoniano anche i racconti e i povesti
(romanzi brevi) di questa raccolta, eterogenei sia per forma che per contenuti,
nei quali si notano aspetti che richiamano ancora ad un certo 'ornamentalismo' dell'Anno nudo ed a un simbolismo che
discendono direttamente dalla prosa di Belyj, mescolati ad un realismo che
rappresenterà per Pil'njak un approdo (politicamente) obbligato.
Al centro della narrazione non
sono più le grandi capitali, Mosca e Pietroburgo, ma la periferia della Russia.
Nella querelle tra occidentalisti e slavofili Pil'njak si schiera dalla parte di
quelli che guardano ad Oriente, alle campagne, ad un oltre-Volga nel quale è
più facile cercare la vera anima russa ed evidenziare le contraddizioni esplose
con la rivoluzione bolscevica. I racconti di Mogano ben sottolineano la confusione e d i contrasti di un'epoca
che l'autore cerca di rendere anche dal punto di vista stilistico, attraverso
l'assenza di un protagonista 'forte'; flashback, digressioni liriche, narrazione
di episodi che avvengono contemporaneamente in luoghi diversi… il racconto
diventa con Pil'njak un collage di fatti, documenti, ricordi e pensieri
frammentari e sconnessi (figli della confusione del tempo) che vanno a
costituire una trama che procede più per 'accumulazioni' che in maniera
lineare.
Sullo sfondo di una Natura che si
oppone all'uomo, metafora di quelle forze istintive che si oppongono alla
razionalità, Pil'njak riflette sull'incomprensibilità della vita e sullo
smarrimento della gente provocato da una Rivoluzione dalla quale i contadini
sembrano essere stati colpiti più che salvati, una Rivoluzione che viene vista
anche dagli occhi dei nobili e dei lavoratori ma che rimane qualcosa di
difficilmente comprensibile, della quale la gente riesce ad apprezzare solo le
conseguenze immediate, vale a dire disordine, violenza ed anarchia.
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