Un libro che prende le mosse
dalla tragica vicenda di Francisco Lázaro, morto per collasso durante la
maratona olimpica di Stoccolma del 1912, per raccontare la storia di due
generazioni di una famiglia portoghese.
Il cimitero dei pianoforti è il
nome della stanza dove sono sistemati gli strumenti non più funzionanti
all'interno della bottega di falegnameria nella quale lavorano padre e figlio
protagonisti del romanzo e il riferimento ai pianoforti è sottolineato anche da
una scrittura "musicale", la consueta prosa poetica di Peixoto che
qui è ulteriormente aggraziata, spingendosi ad accarezzare le parole per farle
risuonare come note di una sinfonia.
Il Portogallo del quale si
racconta è un paese con un piede ancora nell'Ottocento, l'autore descrive i
riti delle famiglie patriarcali dell'epoca, con il corollario di tradimenti, violenze
domestiche, vizio del bere e difficoltà di comunicare. Le voci dei due
protagonisti si alternano nel descrivere la loro storia in prima persona: uno
parla dopo essere già morto e l'altro mentre corre la maratona che non riuscirà
a portare a termine. Particolarmente difficile risulta seguire la narrazione
del maratoneta, che spesso intreccia due o tre pensieri o momenti diversi,
costringendo il lettore a tornare indietro per riprendere il filo di un
discorso lasciato in sospeso a volte pagine prima. È un artificio stilistico
che probabilmente serve per rendere al meglio l'impressione di come i pensieri
si accavallino nella mente di un uomo che sta correndo ma che alla lunga
potrebbe risultare una forzatura strutturale; peccato veniale che si perdona
volentieri a una penna originale come quella di Peixoto, capace di muovere le
parole in maniera armoniosa ed evocativa.
Ancora un romanzo nel quale lo
scrittore portoghese approfondisce i temi della memoria e del legame vita/morte,
ancora un romanzo di suggestioni, raffinato equilibrio e costante ricerca stilistica.
«Oggi e per sempre. Non c'è differenza tra quello che è veramente accaduto e quello che ho distorto con l'immaginazione, ripetutamente, ripetutamente, nel corso degli anni. Non c'è differenza tra le immagini sbiadite che ricordo e le parole crude, crudeli, che credo di ricordare, ma che sono soltanto riflessi costruiti dalla colpa. Il tempo, come un muro, una torre, una costruzione qualunque, fa sì che non ci sia più distinzione tra verità e menzogna. Il tempo mescola la verità con la menzogna. Quello che è accaduto si mescola con quello che vorrei fosse accaduto e con quello che mi hanno detto sia accaduto. La mia memoria non è mia. La mia memoria sono io distorto dal tempo e mescolato a me stesso: alla mia paura, alla mia colpa, al mio pentimento.»
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