sabato 20 giugno 2009

Quanti Cesari sono stato! (Tra sogno e realtà)

La vita è per noi ciò che immaginiamo in essa. Per il contadino per il quale il suo campicello è tutto, quel campo è un impero. Per il Cesare al quale non basta il suo impero, quell'impero è un campo. Il povero possiede un impero; il grande possiede un campo. Ma in verità non possediamo altro che le nostre sensazioni; in esse, dunque, e non in ciò che esse credono, noi dobbiamo basare la realtà della nosra vita.
Questo non viene a proposito di nulla.
Ho sempre sognato molto. Sono stanco di aver sognato, ma non sono stanco di sognare. Nessuno si stanca di sognare, perchè sognare è dimenticare e il dimenticare non pesa ed è un sonno senza sogni fatto in stato di veglia. In sogno ho raggiunto tutti gli scopi. Talvolta mi sono anche risvegliato, ma cosa importa? Quanti Cesari sono stato! E i gloriosi, che meschini! Cesare salvato dalla morte dalla generosità di un pirata, lo fa crocifiggere appena l'ha catturato dopo un'accurata ricerca. Napoleone fa il suo testamento a Sant'Elena e lascia un'eredità a un facinoroso che aveva tentato di assassinare Wellington. Oh grandezza, pari alla grandezza d'animo della dirimpettaia strabica! Oh grandi uomini della cuoca di un altro mondo! Quanti Cesari sono stato e sogno ancora di essere!
Ma i Cesari che io non fui non sono Cesari reali. Sono stato davvero imperiale mentre sognavo, e dunque non sono mai stato nulla. I miei eserciti sono stati sopraffatti, ma la disfatta è stata bonaria e nessuno è morto. Non ho perso stendardi. Non ho sognato fino a quel punto dell'esercito [?] nel quale essi sarebbero apparsi al mio sguardo nel cui sogno c'è un'angolatura. Quanti Cesari sono stato, proprio qui, in Rua dos Douradores. E i Cesari che sono stato vivono ancora nella mia immaginazione; ma i Cesari che sono esistiti sono morti e la Rua dis Douradores, coè la Realtà, non può conoscerli.
Lancio la scatola di fiammiferi vuota verso l'abisso che è la strada, oltre il davanzale della mia finestra alta senza balcone. Mi alzo sulla sedia e mi metto in ascolto. Nitidamente, come se avesse un significato, la scatola di fiammiferi vuota risuona nella strada che intuisco deserta. Non c'è nessun altro rumore, oltre a tutti i rumori della città. Sì, i rumori della città di una domenica: tanti, indecifrabili, e tutti giusti.
Quale pochezza, nel mondo reale, costituisce la base delle meditazioni migliori! Il fatto di essere arrivato tardi per il pranzo, il fatto che i fiammiferi fossero finiti, il fatto che io abbia personalmente lanciato la scatola nella strada (ero di cattivo umore perchè avevo mangiato fuori orario), il fatto che fosse domenica, il preannuncio nell'aria di un brutto tramonto, il fatto di non essere nessuno al mondo - è tutta la metafisica.
Ma quanti Cesari sono stato!

[Fernando Pessoa: "Il libro dell'Inquietudine"]

mercoledì 17 giugno 2009

A D.

Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dite, i tuoi capelli lunghi marrone.
Ma d'aria siamo quasi, in tutte le stanze
dove ci fermiamo davanti a noi un momento
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano.

[Mario Benedetti: "Umana gloria"]

domenica 14 giugno 2009

Pagina di libro notturno

Sbarcai una notte di maggio
in un gelido chiaro di luna
dove erba e fiori erano grigi
ma il profumo verde.

Salii piano un pendìo
nella daltonica notte
mentre pietre bianche
segnalavano alla luna.

Uno spazio di tempo
lungo qualche minuto
largo cinquantotto anni.

E dietro di me
oltre le plumbee acque luccicanti
c'era l'altra costa
e i dominatori.

Uomini con futuro
invece di volti.

[Tomas Transtromer: "Poesia dal silenzio"]

sabato 13 giugno 2009

Dichiarazione di intenti

Non sono il nuotatore avvezzo al mare
che slancia con foga il braccio sopra l’onda
o il bambino attratto dall'ebbrezza
di abbandonarsi a schizzi e giochi d’acqua.
Io preferisco restarmene in disparte
e se mi avvicino è solo per guardare,
io sono di quella specie che predilige l’ideale
e lascia l’oggetto a chi lo vuole.
Col tempo ho affinato i miei strumenti
col tempo ho imparato a sublimare:
ascoltare il silenzio, il muto parlare
spogliarsi del peso del reale
scoprendo che senza è più facile volare.

[Lars W. Vencelowe: "Mater Mare"]