sabato 23 novembre 2013

Hosion e anosion (Platone - Eutifrone)


Ci sono libri (più o meno lunghi, poco importa) la cui lettura ci impegna per settimane, se non mesi e che poi si dimenticano in un batter d'occhi. E poi ci sono i dialoghi platonici: poche paginette che portano via al massimo qualche ora. Ma che sedimentano, e ci accompagnano per una vita intera. 
Prendete l'Eutifrone, uno dei dialoghi della giovinezza del filosofo, di quelli (cosiddetti) minori, di quelli (cosiddetti) aporetici e ve ne accorgerete. C'è Socrate che conversa con un conoscente cercando di definire cosa è santo (ὅσιόν hosion – pio – conforme all'osservanza religiosa ma anche familiare e civile) e cosa non santo e dopo poche battute la discussione prende il volo e finisce per salire a vette vertiginose, toccando temi sui quali ancora si dibatte. Il santo è santo perché lo amano gli dei o perché lo amano gli dei è santo? Ecco il dilemma di Eutifrone: la morale è imposta da Dio o è fatta dall'uomo? Morale come emanazione religiosa o comunque imposta dall'autorità, dall'opinione comune (abbiamo appena detto come hosion sia un termine che va oltre il campo religioso in senso stretto) o morale come espressione della coscienza di ognuno? Etica della fede ed etica laica, ethos ed etica... 
Materiale delicato e da prendere con le molle, che da qualunque parte lo si rigiri finisce per prestare il fianco ad osservazioni che vanno della direzione contraria, un bel fuocherello che Platone ha acceso nel IV secolo a.C.e che sembra resistere discretamente all'usura del tempo e sulle cui braci in tanti hanno provato ad arrostire (ed hanno finito per bruciare) un bel po' di carne.

mercoledì 20 novembre 2013

domenica 17 novembre 2013

voglia di cambiare


d’improvviso voglia di cambiare posto 
perché uno si dice: 
nel posto successivo andrà meglio 
nel posto successivo tutto sarà più semplice più leggero 
e il posto successivo è l’ambiente vicino 
la camera accanto, è un’ altra casa 
un’ altra strada, un’ altra città 
il posto successivo è un altro paese, un altro continente, 
il posto successivo è un’ altra vita 
il posto successivo 
d’improvviso lo sai come se l’avessi sempre saputo: 
è il riposo eterno 
il sonno che si dorme nel posto che non c'è
il nulla che è l’ opposto d’ ogni posto

[Lamber Schlechter]

sabato 16 novembre 2013

Ognuno vede le proprie cose


Vuol dire

Ora apro porte che sono solo mie
Ognuno ora apre le sue proprie porte
Ognuno ora vede le
sue proprie cose.
E se capita di trovarci di fronte alle stesse cose
le vediamo
con colori e forme ognuno
differentemente.
E se capita di vederle con
gli stessi colori
e con le stesse forme le vediamo
non nella stessa posizione
non dalla stessa posizione
non allo stesso tempo.
E se vediamo esattamente le stesse cose
nella stessa posizione dalla
stessa posizione
dello stesso colore e
della stessa forma
nello stesso tempo esattamente
vuol dire
vuol dire che abbiamo aperto l'
ultima
porta.

[Yiànnis Yfandìs]

domenica 10 novembre 2013

Tempi moderni


Il presente guarda dall'alto in basso il passato, e se per caso il passato fosse venuto dopo, guarderebbe dall'alto in basso il presente; ma nell'essenziale si rassomigliano, perché tanto qui quanto là l’essenziale è costituito dall'inesattezza e dalla dimenticanza delle differenze decisive. Il particolare viene scambiato per l’insieme, una lontana analogia per il compimento della verità, e il mantice svuotato di una grande parola viene rimbottito secondo la moda del tempo. La cosa è imponente ma non dura a lungo.
La gente che chiacchierava nei salotti di Diotima non aveva mai completamente torto, perché i loro concetti erano vaghi come le figure che si muovono fra il vapore di una lavanderia.
Tale sorta di gente si è sempre chiamata in tutti i secoli: i ”tempi moderni”. Quest’è una parola simile al sacco in cui si vorrebbero imprigionare i venti di Eolo; è la scusa costante per non mettere mai le cose a posto, cioè non al loro posto reale, ma nel presuntuoso contesto di un’assurdità. Eppure v’è in ciò il riconoscimento di un errore. La convinzione che sarebbe loro compito portare l’ordine nel mondo era stranamente viva in quelle persone. Se si volesse chiamare mezza intelligenza ciò che esse intraprendevano a tal scopo, bisognerebbe notare che proprio l’altra metà innominata o, per nominarla, la metà stupida, non mai esatta e giusta di quella mezza intelligenza, possedeva una forza inesauribile di rinnovamento e una grande fertilità. C’era vita in essa, mutevolezza, inquietudine, instabilità di opinione. Loro stessi dovevano ben sentire com'era. Li scuoteva, squassava i loro cervelli, essi appartenevano a un’epoca di nervosismo, e c’era qualcosa che non andava, ognuno si riteneva intelligente, ma tutti insieme si sentivano sterili. Se per di più avevano ingegno - e la loro imprecisione non lo escludeva affatto - l’interno del loro cervello era come vedere le intemperie e le nuvole, le ferrovie, i pali del telegrafo, gli alberi e le fiere e tutto il quadro animato del nostro caro mondo attraverso un angusto finestrino ingrommato; e nessuno se ne rendeva ben conto dal proprio, ma perfettamente dal finestrino degli altri.
Ulrich s’era preso una volta il divertimento di chiedere loro spiegazioni precise su ciò che pensavano; allora l’avevano guardato con disapprovazione, avevano definito la sua richiesta scetticismo e concezione meccanica della vita, e dichiarato che le cose più complicate si possono risolvere solo nel modo più semplice, cosicché i tempi nuovi, appena si saranno districati dal presente, avranno un aspetto semplicissimo. A differenza di Arnheim, Ulrich non fece loro nessuna impressione, e zia Jane gli avrebbe accarezzato il viso, e gli avrebbe detto: “Io li capisco benissimo; tu li infastidisci con la tua serietà”

[Rober Musil: "L'Uomo senza qualità"]