sabato 1 febbraio 2014

Guido Morselli- Dissipatio H.G.


Una lettura decisamente impegnativa, anche per le citazioni ed i richiami alla psicoanalisi freudiana, a McLuhan, alla sociologia, alla filosofia... tutti argomenti con i quali ho scarsissima dimestichezza, eppure una lettura decisamente importante. 
La storia di un uomo che dopo aver deciso di suicidarsi (o meglio, dissolversi senza lasciare traccia) rinuncia al suo intento ma il giorno dopo scopre che ad essere sparito, volatilizzato è il resto del genere umano, tutti tranne lui. Chi si è salvato: lui o gli altri? E come definire l'accaduto: un premio o una condanna? 
Da questo originalissimo punto di partenza, che mi ha fatto pensare al Saramago di Cecità, si dipana il monologo interiore del protagonista che si ritrova a vivere in un eterno presente fatto di un mondo senza uomini, che va avanti nella sua immobilità. Crisopoli, la città operosa, è diventata ora una sorta di spazio metafisico e l'impressione è quella di trovarsi all'interno di un quadro di De Chirico: mancano le persone, mancano le connessioni tra gli oggetti. Con la scomparsa dell'umanità sono scomparse anche le convenzioni: così il protagonista si trova ad essere uno solo ma anche rappresentare tutti quelli rimasti, monarca assoluto di un mondo dove però regna l'anarchia, padrone di tutto quello che resta in un mondo dove è scomparsa la proprietà privata. 
E come reagisce ad un evento così sconvolgente? Con un alternarsi di stati emotivi, che vanno dallo stupore, al tentativo infruttuoso di comprendere l'accaduto, alla paura, al cercare di adattarsi alla situazione, all'angoscia, fino ad arrivare a sedersi su una panchina in attesa dell'arrivo del dottor Karpinsky, un medico che lo aveva curato per una forma di nevrosi ossessiva. 
 Un'attesa godotiana, però, perché il dottor Karpinsky è morto qualche anno prima. L'attesa della morte, forse, oppure l'impossibilità di accettare quella solitudine che pure aveva cercato con tanta ostinazione, e tutto questo mentre tutto intorno la natura trasforma a poco a poco il paesaggio, facendosi largo fra le costruzioni dell'uomo riprendendo lentamente inesorabilmente il suo spazio. 
Dissipatio H.G. è un libro doloroso, che esprime il conflitto con un mondo che l'autore non ama ma dal quale sente di non poter prescindere, un mondo con il quale, nonostante tutto, vorrebbe trovare una forma di contatto, ma dal quale si sente ignorato. Colpisce la freddezza con la quale Morselli passeggia sul ciglio dell'abisso (bernhardiana, mi verrebbe da dire), quel senso di “controllo” sempre presente nelle pagine del libro, come se emozioni così forti si potessero descrivere in maniera distaccata, quasi guardandole da fuori. 
In conclusione, l'impressione generale è quella di trovarsi davanti a qualcosa di grande, ma forse troppo difficile da comprendere per chi non è mai caduto in fondo al pozzo.

domenica 26 gennaio 2014

George Saunders - Dieci dicembre


Raccolta di racconti dove la prima cosa che si nota è la forte caratterizzazione linguistica dei personaggi, così ben individuabili dalle loro voci che nei dialoghi spesso non è necessario specificare chi sta parlando. Un'originalità che però non è mai fine a se stessa, ma funzionale alla trama che viene raccontata; non c'è manierismo, compiacimento o voglia di stupire, ma solo esigenza di capire. 
E da capire c'è molto, perché l'universo che Saunders racconta è decisamente problematico, difficile da mettere a fuoco, perché abitato da personaggi che vivono chiusi nel loro mondo fino ad arrivare al punto da comunicare per immagini, come il protagonista di Croci che affida ad un simbolo il compito di rappresentarlo, di fare da tramite tra sé e gli altri. 
Si va avanti con un ritmo sincopato, caratterizzato da cambi di prospettiva e di registri narrativi sia all'interno di ogni singolo racconto che tra una storia e l'altra. Si passa da storie che parlano della vita reale ad altre ambientati in mondi (forse) impossibili, si passa dalla farsa alla tragedia come se fossimo sulle montagne russe ma la bravura da Saunders sta nel governare alla perfezione il materiale che ha a disposizione grazie ad una scrittura sempre chiara, mai “eccessiva”. 
I personaggi di “Dieci dicembre” sono genitori che credono di adottare i comportamenti più adatti per entrare in sintonia con i figli mentre in realtà non si rendono conto di quanto sono lontani da loro, sono bambini (ed adulti) che faticano a prendere decisioni perché schiacciati dal senso del dovere, dai sensi di colpa, da vissuti familiari o da quella voce interiore che invece di suggerire loro cosa fare finisce per aumentare la confusione. 
Sono personaggi che spesso hanno difficoltà a verbalizzare e più che parlare monologano, vivono in un mondo di fantasia diverso da quello reale. E gli altri? Gli altri vivono nell'idea che ci facciamo di loro, ed è sempre un'idea imprecisa, sono un termine di paragone, un confronto che ci spinge a comportarci in maniera tale da cercare di reggere il confronto. 
Racconti sulla difficoltà di comunicare, quindi, ma che lasciano aperto uno spiraglio. L'occhio con cui Saunders guarda ai suoi personaggi è sempre un occhio compassionevole ed in questo mi sembra di scorgere più di una analogia con David Foster Wallace.

domenica 19 gennaio 2014

Il polpo e il pescatore


Non temere le parole 
sbattile come il polpo sulla pietra 
fino a che non si arrendano, 
fino a guadagnarne tutto l’inchiostro 
fino a tingertene le mani. 

Stupido, 
per questo non sarai mai poeta 

perché non sei diventato polpo 

ma solo e soltanto 
ostinato pescatore

[Spyros Aravanis]

sabato 18 gennaio 2014

William Faulkner - Mentre morivo


A volte ritorna. 
La grande epica, si intende. Quella della tragedia greca, quella che può rimanere nascosta anche millenni, magari finire dimenticata, fuori moda, superata, ma che non muore mai. Fuoco che cova sotto la cenere, fiume carsico che scorre nascosto in attesa di un varco che gli permetta di saltare fuori ed esplodere in tutta la sua potenza. 
Tutto questo è “Mentre morivo”, un affresco a tinte forti, dove tutto è vero e non c'è nulla di artefatto. Le cose, le persone, i sentimenti restituiti per quello che sono, senza concessione a buonismi o aiutini al lettore. Faulkner non fa sconti: non gli interessa spiegare, rendere accessibile, semplificare o roba del genere ma farci vedere il dramma con gli occhi dei protagonisti, farcelo ascoltare attraverso le loro voci. E lo fa attraverso una scrittura densa che restituisce al meglio la cappa di dolore e sofferenza che grava sui protagonisti, l'atmosfera cupa e febbrile, l'inevitabilità degli eventi, un sentire che spesso è contraddittorio, inespresso o espresso solo in parte. 
E poi il viaggio, la grande metafora americana, vista con gli occhi degli sconfitti, degli ultimi. 
In estrema sintesi si potrebbe dire che “Mentre morivo” è un libro che racconta l'epica dei vinti, l'epica ai tempi della Grande Depressione. 
Scusate se è poco.

domenica 12 gennaio 2014

sull'impossibile che è in noi



E Ulrich seguitò:
- Ogni grande libro spira questo amore per i destini dei singoli individui che non si adattano alle forme che la collettività vuol loro imporre. Ciò porta a risoluzioni che non si lasciano risolvere. Estrai il senso da tutte le opere poetiche e ne ricaverai una smentita interminabile di tutte le norme, le regole e i principî vigenti sui quali posa la società che ama tali poesie! Per di più una poesia col suo mistero trafigge da parte a parte il senso del mondo e ne fa un pallone che se ne vola via. Se questo, com’è costume, si chiama bellezza, allora la bellezza dovrebb'essere uno sconvolgimento mille volte più crudele e spietato di qualunque rivoluzione politica!
Walter si era sbiadito fin nelle labbra. Odiava quel concetto dell’arte come negazione della vita, come opposizione alla vita: - Se un uomo prendesse a solo fondamento della sua vita la tua proposta dovrebbe consentire a tutto ciò che una bella idea gli suggerisce, naturalmente questo porterebbe a una decadenza generale. Secondo me quell’individuo per la maggior parte della vita sarà in balia dei suoi istinti, dei suoi capricci, delle solite passioni di tutti, cioè di quanto v’è di più impersonale nell’uomo, e dovrebbe, per così dire, finché dura l’ostruzione della conduttura superiore, abbandonarsi risolutamente all’impulso?
- Dovrebbe astenersi dal fare qualsiasi cosa! - rispose Clarisse invece di Ulrich. - Quest’è la passività attiva di cui bisogna essere capaci in certe circostanze!
- Dio mio, - ammise Ulrich corrivo, - non hai mica torto. Ma molto spesso per spirito sportivo noi giudichiamo con indulgenza azioni che ci danneggiano, purché l’avversario le abbia compiute leggiadramente; il valore dell’esecuzione rivaleggia allora col valore del danno. Sovente poi abbiamo anche un’idea e per un poco operiamo in conformità ad essa, ma ben presto subentrano ostinazione, abitudine, vantaggio e suggestione, perché è inevitabile. Sicché io in fondo ho forse descritto una condizione che non si può assolutamente portare sino alla fine, ma una cosa non si può negare: è in tutto e per tutto la condizione attuale in cui viviamo.
Walter si era di nuovo calmato.
- Se si rovescia la verità, si può sempre dire qualcosa che è tanto vero quanto falso, - disse dolcemente, senza nascondere che il prolungamento della discussione non lo interessava più. - È proprio da te asserire che una cosa è impossibile ma vera!
Ma Clarisse si strofinò energicamente il naso.
- Mi sembra molto importante, - opinò, - che in noi tutti ci sia qualcosa d’impossibile. Spiega tante cose. Mentre ascoltavo ho avuto l’impressione che se si potesse sezionarci, forse tutta la nostra vita avrebbe l’aspetto di un anello, così, che gira intorno a qualcosa - S’era tolta la fede dal dito e guardava attraverso il cerchietto la parete illuminata. - Voglio dire che l’anello nel centro non ha nulla, eppure sembra che per lui sia proprio il centro che conta! Del resto nemmeno Ulrich saprebbe esprimerlo perfettamente.

[Robert Musil: "L'uomo senza qualità"]