sabato 18 gennaio 2014

William Faulkner - Mentre morivo


A volte ritorna. 
La grande epica, si intende. Quella della tragedia greca, quella che può rimanere nascosta anche millenni, magari finire dimenticata, fuori moda, superata, ma che non muore mai. Fuoco che cova sotto la cenere, fiume carsico che scorre nascosto in attesa di un varco che gli permetta di saltare fuori ed esplodere in tutta la sua potenza. 
Tutto questo è “Mentre morivo”, un affresco a tinte forti, dove tutto è vero e non c'è nulla di artefatto. Le cose, le persone, i sentimenti restituiti per quello che sono, senza concessione a buonismi o aiutini al lettore. Faulkner non fa sconti: non gli interessa spiegare, rendere accessibile, semplificare o roba del genere ma farci vedere il dramma con gli occhi dei protagonisti, farcelo ascoltare attraverso le loro voci. E lo fa attraverso una scrittura densa che restituisce al meglio la cappa di dolore e sofferenza che grava sui protagonisti, l'atmosfera cupa e febbrile, l'inevitabilità degli eventi, un sentire che spesso è contraddittorio, inespresso o espresso solo in parte. 
E poi il viaggio, la grande metafora americana, vista con gli occhi degli sconfitti, degli ultimi. 
In estrema sintesi si potrebbe dire che “Mentre morivo” è un libro che racconta l'epica dei vinti, l'epica ai tempi della Grande Depressione. 
Scusate se è poco.

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