Belacqua: il
proto-Murphy
Racconti
prescindibili, che non mi sembrano aggiungere nulla di fondamentale alla
lettura dell’opera di Beckett.
Qualche spunto
qua e là: la figura di Belacqua come precursore di quel personaggio di più alto
spessore che sarà Murphy, qualche abbozzo di temi che saranno messi a fuoco in
opere più mature, l’attenzione all’aspetto fisico delle figure, alle loro
menomazioni fisiche e non solo… E poi c’è un racconto, quello sì che mi è sembrato
più riuscito degli altri, che mi sembra indicare la direzione (o una delle direzioni)
verso la quale si indirizzerà la ricerca di Beckett.
Parlo di Giallo, racconto nel quale il conflitto
interiore del protagonista viene messo a fuoco con maggiore evidenza rispetto
alle altre novelle che compongono questa raccolta. Qui Belacqua si rende conto
di non poter fingere con se stesso ed è costretto ad ammettere di non avere il
controllo totale sui suoi ragionamenti; le idee possono entrare nella sua mente
nonostante lui, anche se non è pronto
a riceverle. Come difendersi da questa incursione non calcolata, dalla
consapevolezza di non essere quella monade che credeva? Contrapponendo,
follemente, all’idea un’emozione adatta, quella che crede possa meglio
combattere il nuovo con cui è chiamato a confrontarsi. L’arma che Belacqua
sceglie per difendersi non è la rabbia e neppure l’indifferenza, ma l’ironia: armare la mente di risate e poi far entrare l’idea e ridurla a pezzetti.
Questa la dichiarazione d’intenti di Belacqua, destinata ad essere ripresa con
ben altro successo nelle opere più mature (il riso che si oppone all’assurdità
della realtà). Ben altro successo perché in Giallo
l’ironia non servirà granché al protagonista, condannato a morire rapidamente
sotto quei ferri del chirurgo che aveva vanamente tentato di esorcizzare.