STREPITO DEGLI UCCELLI
Scorriamo rapidi attraverso il diciassettesimo
secolo.
L’ultima parte è ok, molto più moderna
della prima. Adesso c’è la Commedia della
Restaurazione.
Webster e Shakespeare e Corneille erano ok
per il loro tempo ma non moderni abbastanza,
per quanto un passo avanti rispetto al sedicesimo
secolo
di Enrico VIII, Lasso e Petrus Christus, che,
paradossalmente
sembrano più moderni dei loro immediati
successori,
Tyndale, Moroni e Luca Marenzio tra gli altri.
Spesso è questione di sembrare piuttosto che
essere moderni.
Sembrare va quasi bene come essere, a volte,
e ogni tanto va altrettanto bene. Che possa essere
anche meglio
è questione che sarebbe opportuno lasciare ai
filosofi
e ad altri della loro schiatta, che sanno le cose
in un modo che per gli altri è impossibile, anche
se le cose
sono quasi le stesse cose che sappiamo noi.
Sappiamo, ad esempio, che Carissimi ha influenzato
Charpentier,
ha misurato le proposizioni attaccandogli in coda
un loop
che riporta le cose all’inizio, solo un po’
più in alto. Il loop è italiano,
importato alla corte di Francia e dapprima
disprezzato,
poi accettato senza alcuna menzione della sua
origine, come i francesi sono avvezzi a fare.
Può essere che alcuni lo riconoscano
nella sua nuova veste – che può essere rimandata
a un altro secolo, quando gli storici sosterranno
che tutto è accaduto normalmente, come risultato
della storia.
(Il barocco ha un modo tutto suo di rovinarci
addosso,
quando pensavamo di averlo chiuso per bene
nell’armadio.
Il classico lo ignora, o lo tollera blandamente.
Ha altro per la testa, di minor rilevanza,
si viene a sapere). Nondimeno, facciamo bene a
crescerci insieme,
pregustando impazienti il modernismo, quando
tutto andrà per il meglio, chissà come e perché.
Fino ad allora è meglio abbandonare i nostri gusti
a qualsiasi cosa ci sembri adatta a loro: questa
scarpa,
quella cinghia, un giorno giungeranno a sembrarci
utili
quando la presenza pensosa del modernismo si sarà
installata
dappertutto, come le planimetrie scartate di un
progetto architettonico.
È bello essere moderni se si riesce a sopportarlo.
È come essere lasciati fuori sotto la pioggia, e
arrivare
a capire che si è sempre stati così: moderni,
fradici,
abbandonati, per quanto con quell’intuizione fuori
dal comune
che ti dà coscienza di non essere mai stato
destinato a essere
qualcun altro, per cui gli artefici
del modernismo verranno passati in rassegna
proprio mentre appassiscono e svaniscono nella
luce vivida dell’oggi
(John Ashbery, 2016) qui