Viaggio alla fine del mondo
L’umanità immaginata da Volodine in questo libro è
abitata da morti che camminano, personaggi inconsapevoli della loro condizione
che si aggirano straniati tra le macerie di quel che resta. Post-capitalisti,
post-comunisti… post-vivi probabilmente o peggio, perché il dramma del
personaggi di Terminus radioso nasce
non solo dal fatto di essere morti, ma di essere morti che non riescono a
morire completamente, uomini e donne che vivono nei sogni e negli incubi di
altri e che neppure lì riescono ad essere liberi, simili per certi versi ai
dannati dell’Inferno, condannati ad
espiare all’infinito le loro colpe. Burattini, li definisce a un certo punto l’autore,
chiamati a recitare a comando una parte. Simulacri che vagano come ubriachi per
un mondo deserto, esseri senza regole e principi, con in tasca solo qualche
vaga reminiscenza di ideali egualitari.
Nessuna redenzione né lieto fine: quelle di Terminus radioso sono pagine cupe, claustrofobiche,
che a tratti riecheggiano l’eco della Strada
McCarthiana. Il tempo sembra scorrere senza senso, la vita sembra scorrere
senza senso. Gli ideali sono diventati illusioni e le illusioni rimpianti: tutto
è perso e l’unica cosa che rimane sono i ricordi, quei ricordi ai quali Kronauer,
il protagonista, cerca di attaccarsi disperatamente ma che altrettanto inesorabilmente
sente scivolare via.
Quel che resta sono manciate di sentimenti e
soprattutto istinti e pulsioni, flebili segnali di una vita che corre via
veloce in attesa che anche l’ultimo uomo si estingua e la natura riprenda il
suo posto, una natura trasformata dalle radiazioni create dall’uomo, martoriata
ma mai doma e che per tutto il libro rimane in paziente attesa, come una bestia
ferita che attende solo il momento della vendetta.
Leggendo Volodine, l’impressione è che a volte
paghi pegno al proprio dogmatismo, al fatto di aver costruito una letteratura
(parlo del post-esotismo) un po’ troppo rigida nella sua architettura, con la
conseguenza di essere ripetitiva negli argomenti, nel loro sviluppo e nelle
finalità narrative. Da questo punto di vista ho trovato Terminus radioso molto simile ad Angeli minori, che per certi versi ho preferito.
P.S.: nella terza di copertina si legge che “Volodine firma un romanzo fosco e ironico che
intona un inno all’umorismo del disastro, alla fuga dal reale, alle tecniche di
resistenza di fronte al buio, alla notte, alla catastrofe”.
Ironico? Umorismo? Tecniche di resistenza al buio?
Cioè: questo sarebbe un libro che fa ridere?
Se è così confesso che di Terminus radioso io non ho capito niente.
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