Resistere non serve a niente?
La storia del post-esotismo nel racconto di Lutz
Bassmann, un uomo che attende la morte rinchiuso nel braccio di massima
sicurezza da ventisette anni, guardando le fotografie dei suoi amici defunti
mentre l’umidità avvolge ogni cosa e fuori piove incessantemente.
Bassmann è solo un portavoce, l’ultimo
sopravvissuto di un gruppo che non esiste più, superstite senza speranze che
attende di portare a termine la definitiva disfatta. A lui il compito di
prolungare l’esistenza di quelli che l’hanno preceduto, a lui il compito di far
vivere la loro memoria attraverso il colloquio con due cronisti della stampa organica
al sistema che si interessano (o fingono di farlo) alla storia del
post-esotismo.
La narrazione è resa farraginosa da brevi “lezioni” sugli aspetti formali del
post-esotismo che ne interrompono bruscamente il corso e il racconto di
Bassmann è quello di un uomo consapevole della sconfitta che cerca di soffiare
sulle braci della memoria per non lasciar spegnere il fuoco. Parla di un
movimento avverso e ostile allo status quo, un movimento di resistenza che
cerca di nascondere le sue intenzioni per non dare vantaggi all’avversario e
che vede anche nel lettore un possibile nemico. Un movimento che tiene il mondo
a distanza, attento a non fare commerci con la nostra realtà per non lasciarsi
contaminare e corrompere da essa, così esterno da far diventare virtuale quello
che per noi è il mondo reale.
Volodine è un visionario, un Pessoa a tratti più “strutturato”,
che con il post-esotismo costruisce un luogo del pensiero dove non mancano le
contraddizioni, considerato che è a un tempo nichilismo ma anche zona franca
dove poter coltivare una deriva egualitaria. Un movimento che sembra una interpretazione
in chiave letteraria di questi anni complicati: il post-esotismo come risposta
allo sgretolamento degli ideali, al fallimento dell’utopia socialista e alla
deriva capitalista.
Resistere non serve a nulla? No, resistere per
Volodine sembra essere l’unica possibilità.
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