giovedì 24 dicembre 2020

Prima neve a Petrozavodsk


Hotel Severnaya 

 

Argine del lago Onega

domenica 20 dicembre 2020

Giardino, cenere – Danilo Kiš



Giardino, cenere è il miglior libro dell'Europa postbellica per I. Brodskij e il secondo volume di una trilogia ideale che comprende Dolori precoci e Clessidra, «tre sguardi – si legge in Homo poeticus – tre approcci alla stessa realtà, al centro della quale si trova Eduard Sam, E.S., lo scomparso, figura centrale di un mondo anch'esso scomparso. Il mondo dell'Europa centrale.»
Un romanzo dal sapore proustiano ma anche schulziano, una narrazione lirica dell'infanzia nella quale realtà e illusione si mescolano nella dimensione letteraria e trovano voce nel racconto del piccolo Andreas Sam che ci parla della sua famiglia e soprattutto del suo strano padre e della sua opera ancora più strana, un "Orario delle comunicazioni tramviarie, navali, ferroviarie e aeree, un libro-mondo in continua trasformazione («Era una Bibbia sacrale, apocrifa, nella quale si rinnovava il miracolo della Genesi, ma nella quale erano corrette tutte le ingiustizie divine e l’impotenza dell’uomo»).
Eduard Sam incarna la figura dell'ebreo errante, un fallito che spinge la famiglia a seguirlo nelle sue peregrinazioni,  un pazzo che vive in un delirio di idee assurde e sogni irrealizzabili, votato a «un'indefinita rivolta contro la società e l'ordine del mondo», un uomo convinto che il suo ruolo sia quello di adempiere al proprio destino in modo da realizzare così il proprio personale riscatto e anche quello di riscattare attraverso il suo sacrificio l'intera umanità.
Kiš ci restituisce alla perfezione il punto di vista del ragazzino, lo stupore e la curiosità dei suoi occhi che guardano e interpretano la realtà e lo fa attraverso un linguaggio dai toni soffusi, ricco di descrizioni, particolari e sensazioni. È una prosa lirica che esprime alla perfezione la malinconia per il trascorrere inesorabile del tempo, per un'epoca – quella dell'infanzia – dalla quale il protagonista sta per uscire ma anche per un mondo che volge al declino.
Giardino, cenere è un libro sulla mitologia infantile e sul mistero del tempo di rara eleganza formale ma anche un'opera ricca di contenuti e riflessioni di indubbio spessore.

«Ci sono uomini» continuò mio padre «che sono nati per fare l’infelicità propria e altrui, vittime di macchinazioni celesti che non possiamo comprendere, cavie della meccanica celeste, ribelli ai quali è assegnata la parte di ribelli, ma che sono nati, per la crudele logica della commedia celeste, con le ali tagliate. Titani senza la forza dei titani, piccoli titanucci gracili che di grande hanno ricevuto solo una dose eccessiva di sensibilità nella quale la loro futile forza si scioglie come in alcol. Essi seguono la loro stella, la loro sensibilità malata, portati da progetti e da propositi titanici, e si infrangono come onde sugli scogli della banalità quotidiana. Ma la cosa più crudele riservata loro è la lucidità, la coscienza dei propri limiti, la dolorosa facoltà di distanziarsi. Io vedo me stesso nella parte impostami dai cieli e dal destino, consapevole di essa ad ogni istante, ma al tempo stesso assolutamente incapace di oppormi ad essa con la forza della logica e della volontà... Per fortuna, come ho detto, questa mia parte volge al termine...»

sabato 12 dicembre 2020

Il cimitero dei pianoforti – José Luis Peixoto


Guardavo i pianoforti morti, mi ricordavo che c'erano pezzi che risuscitavano dentro ad altri pianoforti e credevo che anche la vita potesse essere ricostruita allo stesso modo.

Un libro che prende le mosse dalla tragica vicenda di Francisco Lázaro, morto per collasso durante la maratona olimpica di Stoccolma del 1912, per raccontare la storia di due generazioni di una famiglia portoghese. 
Il cimitero dei pianoforti è il nome della stanza dove sono sistemati gli strumenti non più funzionanti all'interno della bottega di falegnameria nella quale lavorano padre e figlio protagonisti del romanzo e il riferimento ai pianoforti è sottolineato anche da una scrittura "musicale", la consueta prosa poetica di Peixoto che qui è ulteriormente aggraziata, spingendosi ad accarezzare le parole per farle risuonare come note di una sinfonia.
Il Portogallo del quale si racconta è un paese con un piede ancora nell'Ottocento, l'autore descrive i riti delle famiglie patriarcali dell'epoca, con il corollario di tradimenti, violenze domestiche, vizio del bere e difficoltà di comunicare. Le voci dei due protagonisti si alternano nel descrivere la loro storia in prima persona: uno parla dopo essere già morto e l'altro mentre corre la maratona che non riuscirà a portare a termine. Particolarmente difficile risulta seguire la narrazione del maratoneta, che spesso intreccia due o tre pensieri o momenti diversi, costringendo il lettore a tornare indietro per riprendere il filo di un discorso lasciato in sospeso a volte pagine prima. È un artificio stilistico che probabilmente serve per rendere al meglio l'impressione di come i pensieri si accavallino nella mente di un uomo che sta correndo ma che alla lunga potrebbe risultare una forzatura strutturale; peccato veniale che si perdona volentieri a una penna originale come quella di Peixoto, capace di muovere le parole in maniera armoniosa ed evocativa.
Ancora un romanzo nel quale lo scrittore portoghese approfondisce i temi della memoria e del legame vita/morte, ancora un romanzo di suggestioni, raffinato equilibrio e costante ricerca stilistica. 

«Oggi e per sempre. Non c'è differenza tra quello che è veramente accaduto e quello che ho distorto con l'immaginazione, ripetutamente, ripetutamente, nel corso degli anni. Non c'è differenza tra le immagini sbiadite che ricordo e le parole crude, crudeli, che credo di ricordare, ma che sono soltanto riflessi costruiti dalla colpa. Il tempo, come un muro, una torre, una costruzione qualunque, fa sì che non ci sia più distinzione tra verità e menzogna. Il tempo mescola la verità con la menzogna. Quello che è accaduto si mescola con quello che vorrei fosse accaduto e con quello che mi hanno detto sia accaduto. La mia memoria non è mia. La mia memoria sono io distorto dal tempo e mescolato a me stesso: alla mia paura, alla mia colpa, al mio pentimento.»

martedì 8 dicembre 2020

Tornabuoni Novecento

 

Novecento di CTS è un toscano di forma bitroncoconica classica stagionato per nove mesi. É composto unicamente da tabacco Kentucky proveniente dall'alta valle del Tevere e invecchiato due anni prima di essere lavorato con macchinari d'epoca, sia nel battuto fine che costituisce il ripieno e sia nella fascia che lo avvolge.

È un sigaro di forza media, bilanciato ed elegante, un signore con i piedi ben saldi nel passato e lo sguardo puntato nel futuro, un toscano coraggioso che sa da dove viene ma anche dove vuole andare. Novecento è un sigaro fiero delle proprie origini ma che con l'esperienza di vita ha imparato a correggere una certa "asprezza" del carattere contadino, riuscendo a coniugare la forza della tradizione con le idee nuove dell'attualità. Ci parla di terra, di cuoio, di legna affumicata, di pepe e altre spezie, ma lo fa senza che nessuna delle suggestioni che libera la fumata soverchi l'altra e l'amaro incontra sempre una nota più dolce pronta a stemperarne il vigore. 

Nessuna forzatura né artificiosità, Novecento non è un acrobata perennemente in bilico sulla corda che cerca di conquistarsi un equilibrio ad ogni passo che muove nel vuoto ma un sigaro ben riuscito nel quale ogni voce trova spontaneamente il suo controcanto e tutte le sensazioni che sprigiona creano una consonanza che produce armonia.

Novecento è un grande sigaro di una grande manifattura.

sabato 5 dicembre 2020

Una tomba per Boris Davidovič – Danilo Kiš




«Credo che la letteratura debba correggere la storia: la Storia è generalità mentre la letteratura è concretezza. La Storia è numero, la letteratura è individualità»

 Partendo da questo assunto, Kiš mescola fiction e faction in un libro composto da sette racconti che costituiscono sette romanzi brevi, nel senso che ognuno di essi narra la biografia di un personaggio diverso ma che sono anche sette capitoli di una stessa storia (come indicato nel titolo), quella del fanatismo e delle sue conseguenze nefaste. 
Lo scopo di quest'opera – lo spiega l'autore stesso in quella straordinaria summa del suo pensiero che è Homo poeticus – è ragionare sull'epoca staliniana mescolando prove documentali e false fonti in modo da conferire più solidità alla narrazione e contemporaneamente dimostrare la superiorità della letteratura sulla realtà.
Lo stalinismo diventa così una scrofa che divora la propria prole e ideologismo, colpa, tradimento, rapporto vittima/carnefice sono i temi sui quali Kiš punta l'attenzione  ampliando il campo della riflessione alla multiforme natura dell'uomo, senza trascurarne dubbi, limiti e soprattutto contraddizioni.
Una tomba per Boris Davidovič  è un libro molto interessante anche stilisticamente: dall'uso borgesiano dei falsi documenti di cui si è detto, all'utilizzo di diversi piani narrativi all'interno dei singoli racconti, all'alternanza di descrizioni d'ambiente e narrazione che ricorda Pil'njak. 
Opera di indubbio spessore di uno degli intellettuali europei più importanti del secondo Novecento.