domenica 14 marzo 2021

Tornabuoni Scorciato

 


Lo Scorciato è un ammezzato troncoconico interamente fatto a mano che utilizza per fascia e ripieno le stesse varietà di Kentucky valtiberino del Long, qui però con una stagionatura di sei mesi. Già l'aspetto nodoso ci dice qualcosa del suo carattere: siamo al cospetto di un sigaro maschio e scorbutico, un cavallo di razza che va gestito in fumata per goderne appieno. Dopo un'entrata in cui si apprezzano l'amaro e il pepato, la forza del Kentucky prende rapidamente campo e si mantiene costante. La paletta aromatica non è molto ampia: terra, legno, cuoio sono gli aromi prevalenti e persistono senza un'evoluzione significativa ma con intensità medio-alta in un rincorrersi di sensazioni che si esaltano a vicenda. Lo Scorciato è un sigaro "vero" che ci parla del mondo contadino, di terra, lavoro e fatica, di pioggia e vento ma anche di fuoco e sole. Un sigaro dai sapori decisi che ci riporta alle nostre origini.

domenica 28 febbraio 2021

Dizionario dei Chazari - Milorad Pavić


La verità nessun uomo la conosce, né mai potrà conoscere le cose che io dico a parole sugli dei e sul tutto. La parola può forse avvicinarsi alla realtà, ma non conoscerla: il massimo traguardo è l'opinione.
[Senofane]

Libro definito il primo romanzo del XXI secolo, il Dizionario dei Chazari è l'opera immensa di un autore, almeno da noi, misconosciuto. Pavić costruisce intorno a pochi e incerti dati storici una sorprendente opera di fantasia che mescola romanzo, dizionario, saggio, agiografia e che nasconde sotto allegoria una riflessione sul popolo serbo. Le tre parti che la compongono, libro rosso, verde e giallo, rappresentano i rispettivi punti di vista cristiano, islamico ed ebraico sull'adesione dei chazari alla loro religione (anche se in realtà non sapremo mai a quale delle tre fedi si convertirono). Si tratta di tre parti autonome, scritte come voci di un'enciclopedia (che - tra l'altro - rappresentava il libro ideale di un altro grande slavo, Danilo Kiš) e che possono essere lette in mille modi diversi secondo un procedimento caro a Cortázar.
Sin dalle note introduttive l'autore provoca il lettore richiamandolo a un ruolo attivo, perché quello che ha davanti è un libro "aperto", «e quando lo si chiude si può continuare a scriverlo», un libro pericoloso, nel quale perdersi, dove tutto è metafora di qualcos'altro, un libro prezioso perché fatto della stessa materia dei sogni e «il sogno è il giardino del diavolo e tutti i sogni del mondo sono già stati sognati molto tempo fa. Oggi essi vengono offerti in cambio di una realtà logora e consunta, e come le monete di metallo che vengono scambiate con le lettere di credito, e viceversa, passano da una mano all'altra…»
Sì signori, qui si entra in un labirinto borgesiano di specchi, con i sogni che riflettono, amplificano e distorcono la realtà. Qui si entra in un mondo di "doppi", che mescola tradizione, leggenda, religione, superstizione ed esoterismo, un mondo nel quale il falso storico diventa vero nella finzione letteraria e personaggi inventati si muovono fianco a fianco con altri realmente esistiti ma che non hanno mai detto o fatto quello che Pavić racconta. Vero e falso che vanno a braccetto, come nella vita e come (soprattutto) nella letteratura perché il Dizionario dei Chazari è grande letteratura, un piacere intellettuale, un dialogo tra scrittore e lettore nel quale il sogno dello scrittore diventa la realtà del lettore, proprio come succede a due dei personaggi del libro.
Un raffinatissimo libro-mondo che contiene dentro un po' di tutto: dal rapporto scrittore/lettore alle riflessioni sul tempo e sulla memoria, al rapporto verità/menzogna con la conclusione di come gli sforzi dell'uomo di approdare alla conquista della verità siano destinati al fallimento perché non esiste una verità ultima, definitiva, né sulla conversione dei Chazari né su tutto il resto e ci si dovrà sempre accontentare di verità parziali, punti di vista.
Un libro enorme, che lascia un'unica certezza, quella che «il lettore che torna dall'alto mare dei suoi sentimenti non è più quello che poco prima in alto mare si era avviato».

Il kagan […] paragonò il lavoro sterile dei cacciatori di sogni al topo magro di quel racconto greco che entrò facilmente attraverso un buco nel granaio, ma dopo aver mangiato non riusciva a tornare indietro per lo stomaco troppo pieno: «Non puoi uscire sazio dal granaio, ma soltanto affamato, come vi sei entrato. Così anche un mangiatore di sogni, affamato, passa con facilità nella fessura sottile tra sogno e realtà, ma dopo avervi cacciato la preda e raccolto la frutta, sazio di sogni, non può più tornare, perché ne puoi uscire soltanto com'eri quando vi sei entrato. Così lui deve abbandonare a sua preda oppure rimanere per sempre nei sogni. Non si rende utile in nessuno dei due casi…»

Links
https://scaruffi.com/writers/pavic.html
https://medium.com/@yashurin/book-review-dictionary-of-the-khazars-a-lexicon-novel-by-milorad-pavic-dee127447f6d
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/06/03/il-cacciatore-di-sogni.html
https://ilmanifesto.it/milorad-pavic-prismi-dalla-dissoluzione-di-un-falso-storico/

sabato 6 febbraio 2021

Guerra e guerra – László Krasznahorkai

 


La Bellezza salverà il mondo.

Terzo in ordine di tempo dei romanzi di Krasznahorkai arrivati in Italia (Satantango è del 1985, Melancolia della resistenza del 1989 e Guerra e guerra del 1999), ed ennesimo capolavoro dello scrittore ungherese.
«È finita, di nuovo…», dice già nelle prime righe Korin, il protagonista di È arrivato Isaia, il racconto che fa da prologo al romanzo, «Tutto è rovinato, tutto è abbruttito.»
Già, abbruttito. L'uomo, con l'ausilio divino, ha rovinato il mondo spazzando via la bellezza e rendendo ogni cosa rozza e volgare. Non c'è speranza, nessuna possibilità di comprendere, la storia ha cancellato le idee stesse di nobile e sublime e lui, Korin, ha visto il futuro e ne è rimasto inorridito.
Korin è un archivista che sin da piccolo «riusciva a identificarsi solo con la sconfitta» e con il dolore che l'accompagnava, un uomo che improvvisamente precipita in uno sconforto esistenziale ma la cui vita subisce una svolta dopo la scoperta di un manoscritto («un testo impressionante, epocale, emozionante e geniale») che diventa per lui l'unico scopo di vita e che decide di consegnare all'immortalità affidandolo ad Internet. È un manoscritto che racconta di quattro personaggi che in vari momenti del tempo e dello spazio incontrano la bellezza ma proprio quando sembrano sul punto di creare un paradiso in terra sono costretti a fuggire dallo scoppiare di una guerra che sembra essere ogni volta inevitabile.
La figura allucinata di Korin si staglia sull'indifferenza di un mondo destinato alla catastrofe e leva forte il suo grido di dolore: «io non sono impazzito, ma vedo le cose con una tale chiarezza che è come se lo fossi.». Forse è proprio così e la follia è l'unica ancora di salvezza che rimane all'uomo, follia intesa come uscita dai canoni che scandiscono le nostre vite. Korin finirà così per legare il proprio destino a quello dei quattro personaggi forzando il diaframma che divide realtà e finzione per provare a sottrarli alla loro sorte grazie al potere salvifico dell'Arte.
Guerra e Guerra è un libro enorme nel quale Krasznahorkai affida le sue riflessioni a lunghi monologhi, con frasi contorte che cercano di correggere, chiarire… e intanto ci tirano sempre più dentro alla trama, partecipi di un mondo complesso, fatto di processi mentali un magma di parole dove tutto è in movimento verso un dove che non si chiarisce. Una tensione costante che non garantisce la certezza dell'approdo sicuro, un viaggio avventuroso e carico di insidie che vale la pena di essere vissuto.

«Cerco di trovare una via tra realtà e finzione,» dice Krasznahorkai in un'intervista del 2011 a Music & Literature «tra il peso dell'esistenza e della finzione. La giusta proporzione è il problema principale nell'arte oggi, penso, tra finzione e realtà. Forse questo è un problema irrisolvibile, ma cerco di risolverlo, nel mio caso, in letteratura.»


Links
https://www.doppiozero.com/materiali/guerra-e-guerra-storia-e-romanzo
https://www.newyorker.com/magazine/2011/07/04/madness-and-civilization
https://www.musicandliterature.org/features/2013/12/11/a-conversation-with-lszl-krasznahorkai

sabato 30 gennaio 2021

Aspettando la paura – Oğuz Atay

  


Unica opera tradotta in italiano (in attesa della pubblicazione di quel libro enorme che è Tutunamanlar) di un gigante della letteratura turca, capace di traghettare in un colpo solo le lettere ottomane verso il moderno e il postmoderno, Aspettando la paura non è una lettura semplice per via dei continui cambi di registro stilistici e per l'abilità dell'autore di giocare con le parole e con i pensieri dei personaggi.
Si tratta di una raccolta di racconti in pezzo scritti tra il 1972 e il 1973 e in parte successivi al 1974, piuttosto eterogenei per gli argomenti trattati ma caratterizzati da alcuni temi "forti" come la paura e la solitudine.
Paura non tanto di un pericolo concreto ma piuttosto di qualcosa che potrebbe accadere (simile al kavafisiano Aspettando i barbari), un'attesa che logora e mette alla prova la tenuta psicologica di personaggi che spesso sono soli, faticano a costruire contatti umani e si rifugiano nei loro pensieri risultando quasi dei folli perché diversi, non organici, sempre in bilico sul filo del surreale, del tragico e del grottesco.
Atmosfere che ricordano Kafka ma anche Camus, per la sensazione di straniamento che permea le pagine del libro e per il vuoto nel quale si muovono i protagonisti dei racconti, personaggi in cerca di un'identità, che faticano a capire quello che succede intorno a loro, che creano il tempo "attaccando l'una all'atra le parole".

"Collocavo le cose sullo stesso livello delle persone," – dice uno dei personaggi del racconto che da il titolo alla raccolta – "e tra quelle due entità e me stavano problemi che io soltanto conoscevo, difficili a conferirsi agli altri."

E ancora: "Tenevo celato me a me stesso; non assumevo alcun atteggiamento di mia spontanea iniziativa, non arrivando a collocarmi in una posizione."

sabato 23 gennaio 2021

Racconti completi – Haroldo Conti


«La vita di un uomo è un misero copione, una manciata di tristezze che riempiono poche righe. Ma a volte, così come ci sono anni interi di una lunga e fitta oscurità, un minuto della vita di un uomo è una luce accecante.»


Raccolta eterogenea di racconti con al centro l'epica del fiume, della campagna, dei grandi spazi aperti, storie costruite intorno a personaggi che un giorno arrivano e poi ripartono lasciando dietro di sé una scia di lacrime e sangue, ricordi che tornano a vivere per un momento per poi essere risucchiati nell'oblio.
Uomo e natura, in una simbiosi contrastata ma ineludibile. I protagonisti dei racconti di Conti finiscono per accordare il loro ritmo a quello del grande fiume e a quello delle stagioni. Sono per lo più vagabondi, uomini disillusi e solitari, mossi da un'ansia che gli impedisce di rimanere fermi in un luogo ma li spinge a muoversi alla ricerca di qualcosa a cui non sanno dare forma e sostanza. Professionisti della sconfitta che nascondono dietro alla maschera del silenzio e a un cinismo di facciata le mille cicatrici del cuore, scarti di un mondo abituato ad abbandonare al suo destino chi non sa più stare al passo.
Uomo e natura – si è detto – ma anche uomo e uomo, in un equilibrio regolato dalla legge del più forte, perché nella lotta per non andare a fondo tutto è lecito e non ci sono spazi per la poesia.
Eppure la penna di Conti ha note liriche ed è abilissima nel disegnare figure come il gallo Britos ("che è molto più anziano di quanto non sembri, anche se in realtà non sembra avere nessuna età e potrebbe essere vecchio quanto il mondo"), individui che sembrano usciti da un album di fotografie in bianco e nero e raccontano di un mondo passato. Personaggi come Ramón Pampín o come "il matto Seretti" che "passava la metà del tempo ad aggiustare il tetto, costruito con lamiere di seconda chiodatura, e alla fine aveva deciso di rimanerci sopra perché da lì si vedeva tutto in un altro modo". Personaggi come il signor Pelice "con le sue scarpette di vitello, la sua giacca di gabardine nera e il suo panama grezzo", il pirotecnico più rinomato della zona che scriveva lettere d'amore alla signorina Haidée ma che invece di spedirle preferiva usarle per imbottire i razzi dei botti.
Personaggi di un mondo, quello creato dalla penna di Conti, che non esiste più. Un mondo però più vero, più ingenuo ma più onesto di quello attuale.