sabato 19 marzo 2022

Teoria della prosa – Ricardo Piglia



Esegesi onettiana

Interessante trascrizione di nove lezioni tenute da Piglia all'Università di Buenos Aires nel 1995 nelle quali l'autore è il Virgilio che ci guida alla scoperta dell'universo letterario onettiano. Un'esegesi attenta, rigorosa e appassionata dell'opera del grande maestro uruguaiano che conferma la grandezza di Piglia come critico, peraltro già abbondantemente emersa tra le pagine di Respirazione artificiale.
C'è un'analisi della "forma" letteraria che caratterizza le opere di Onetti, la nouvelle, con le particolarità che la differenziano dal romanzo classico e la avvicinano al racconto (la nouvelle, per Piglia, è un "iper-racconto") e un'analisi della struttura, dalla quale emerge come il narratore sia spesso lontano dalla storia e racconti fatti già accaduti, che sembrano mancare sempre di qualcosa, non riuscendo mai a raggiungere il "segreto", che è ciò attorno a cui gira la trama.
Nelle opere di Onetti il narratore non è mai onnisciente e il suo è un lungo raccontare e raccontare di nuovo che invece di indicare la strada finisce per aggiungere ambiguità, aprendo la porta a nuove ipotesi, moltiplicando la trama in un dedalo di sotto-trame che a forza di riflettere la realtà la modificano allontanandoci sempre più dal centro.
Attraverso esempi e confronti con l'opera di altri mostri sacri della letteratura (Henry James, Arlt, Faulkner, Borges) Piglia descrive l'immaginario onettiano come qualcosa che non è di alternativo alla realtà ma che nasce da un disordine del quotidiano e si interseca con esso, generando un sistema di specchi, un gioco pericoloso e affascinante nel quale i due aspetti, reale e fantastico, spesso convivono nei personaggi.

P.S.: Teoria della prosa è un testo fondamentale per tutti gli amanti della prosa dello scrittore uruguaiano e risulta evidente come, nella querelle Borges-Onetti, Piglia si schieri dalla parte di quest'ultimo.

sabato 12 marzo 2022

Applausi nel cassetto – Ana Blandiana



«Nulla è più falso che immaginarti di stare a guardare dalla riva, mentre in realtà scorri insieme con l'acqua».

Opera formidabile, dalla lunga gestazione (10 anni) e dall'architettura complessa, con la trama che risulta frammentata in almeno tre storie diverse collegate secondo un'originale "teoria dei flussi" e che tendono a convergere e mescolarsi nel finale. C'è il racconto dello scrittore Alexandru Șerban scritto in terza persona, quello che si svolge nel libro che Șerban sta scrivendo, e quello autobiografico di Ana Blandiana. A tutto ciò si aggiungono sottotrame e dialoghi interpolati con brandelli di interrogatori della Securitate ai personaggi del libro.
Applausi nel cassetto è un gioiello di una grande intellettuale da seguire con attenzione, che parla della Romania ai tempi della dittatura di Ceaușescu, della claustrofobia di un'epoca difficile da spiegare e dei meccanismi che mescolando paura e abitudine, vigliaccheria e istinto di conservazione, portarono la popolazione a sottomettersi al giogo del Conducător.
Con una scrittura "alta", lirica e al tempo stesso analitica nell'affrontare le pieghe del pensiero e restituire i sentimenti dei personaggi e i suoi, Blandiana utilizza l'intersezione dei piani narrativi che sovrappongono vero e immaginario per testimoniare lo smarrimento di chi scriveva in quegli anni e si aggirava come un sonnambulo in un mondo nel quale i confini tra incubo e realtà risultavano incerti.
Nelle pagine del libro reale e fantastico sfumano uno nell'altro, così come autore e protagonista finiscono per confondersi; tutto diventa ambivalente, contraddittorio, avvolto in una danza tra vero e immaginario, con la realtà che diventa forse più finta del mondo immaginato dalla scrittrice.
"La vita è un libro" – si dice verso la fine, per poi aggiungere che "non puoi fuggire dal tuo libro". È questo uno dei punti chiave di Applausi nel cassetto, la riflessione sulla necessità della scrittura e insieme sui suoi rischi e sui suoi limiti.
Quello che non devo perdere di vista è che io non sono il personaggio, ma l'autore di questo libro. Questo perché la tentazione di passare da una categoria all'altra è tanto più grande quanto è infinitamente più facile essere personaggio piuttosto che autore. Anche se da un certo punto di vista l'autore è anche lui un personaggio, più drammatico e complicato, di qualcun altro.

domenica 6 marzo 2022

L'altro nome. Settologia I-II – Jon Fosse



"Ciò che voglio mostrare ha a che fare con la luce, e con il buio, riguarda il buio luminoso così come è in tutta la pienezza del nulla"

Asle è un pittore, vedovo, che ha smesso di bere. E poi c'è un'altra possibilità di essere Asle: un pittore, semialcolizzato che si trascina tra la casa e il bar. Asle, Ales, Alise, Åsleik… nomi e altri nomi.
I primi due capitoli della settologia di Fosse sono un lunghissimo monologo senza punti che procede per accumulazioni e ripetizioni. Molte riflessioni, lunghi silenzi e pochi avvenimenti che si depositano sulle pagine portando acqua al mulino della trama, nella speranza – probabilmente vana – che possa macinare il grano della conoscenza. I dialoghi sono fili sottili, sincopati, frecce prive di velocità che cadono senza avvicinarsi al bersaglio, salvagenti che non raggiungono l'uomo che annaspa nel mare. I sentimenti sembrano qualcosa di distante, che se c'è stato ormai è passato, come la vita che scorre e va dove vuole. 
Un libro sul senso della vita e della morte, sul tentativo di descrivere (se non comprendere) come vanno le cose, un libro sulla presenza e sull'assenza di Dio.
Per il protagonista dipingere è un modo di cancellare le immagini, dimenticarle perché smettano di perseguitarlo. È il dolore che va allontanato, o almeno tenuto a freno, per provare ad avvicinarsi alla quiete interiore annullandosi nel vuoto del silenzio: dipingere e scacciare il dolore per far emergere la luce dal buio.

"e in ciò che dipingo deve esserci una luce, una luce invisibile, penso, […] e la cosa strana è che il modo più facile per fare splendere i quadri è quando sono scuri, sì, e neri, sì, più scuri e neri sono i colori e più brillano, e per me il modo migliore per vedere se un quadro riluce e rendermi conto di quanto sia forte e debole questa luce, e dove sia, è quando spengo tutte le altre, quando è scuro come la notte più buia, e ovviamente è più facile vedere quando all’esterno regna l’oscurità più assoluta, […] sì, a dire la verità per me il dipinto non è concluso fino a quando non l’ho visto nell’oscurità più totale, perché in un certo senso gli occhi si abituano al buio e osservo il quadro sotto forma di luce e buio, e vedo se emana una luce, dove e come, ed è sempre, sempre la parte scura del quadro a splendere di più e penso che forse è così perché è nella disperazione, nelle tenebre che Dio è più vicino."

I personaggi di Fosse trascinano le loro esistenze muovendosi lenti in mezzo alla neve, aggirandosi come spettri che hanno perso la via e vagano senza meta dal freddo della strada al vuoto dei loro appartamenti. Asle cade e si perde, mentre dalle finestre dei palazzi sembrano osservarlo i fantasmi di Ibsen, Strindberg, Beckett, e dall'ultimo piano pare di scorgere anche il profilo di Joyce.

sabato 19 febbraio 2022

Cronorifugio – Georgi Gospodinov

 


Dando tempo al tempo

La memoria è materiale da maneggiare con attenzione e con Cronorifugio Gospodinov si dimostra all'altezza dei giganti che l'hanno preceduto, proponendoci un'interessante elaborazione del tema interpretata secondo i canoni del romanzo post-moderno, inserendo nella narrazione aspetti metaletterari, parti diaristiche, micro-racconti, disegni, riferimenti alla cultura pop e a quella "alta", il tutto espresso attraverso uno stile colloquiale e un perfetto equilibrio di ironia e malinconia che rappresentano il marchio di fabbrica dello scrittore bulgaro.
Gaustin, l'alter ego con cui l'autore ha già dialogato anche nelle opere precedenti, è una specie di ebreo errante, un Prometeo che cerca di strappare il velo del Tempo per ricreare il passato, e la sua idea di una clinica della memoria un ottimo stratagemma per parlare dei ricordi e riportare in superficie storie (poco importa se reali o inventate) che altrimenti sarebbero destinate all'oblio.
Una allegoria di un'epoca, la nostra, che sembra aver perso la memoria e per questo sembra rifugiarsi in un passato "di comodo": un rifugio sterile nel quale è bello accomodarsi per respirare ancora un po' i sapori dell'infanzia o quelli della giovinezza. Gospodinov, in un'ideale e sorprendente convergenza con Memoria della memoria di Marija Stepanova identifica perfettamente come la memoria sia un'arma a doppio taglio perché se non accompagnata dalla volontà di comprendere davvero il passato rischia di ridurlo a una palude nella quale la contemporaneità si rintana per non dover affrontare l'oggi e provare a costruire il domani.

domenica 6 febbraio 2022

Il banchetto annuale della confraternita del becchini – Mathias Énard

Cerchi nell'acqua


Scrittura piana e scorrevole, registro colloquiale, trama sottile (un etnologo in trasferta nella campagna francese per una tesi di dottorato)… tutto farebbe pensare di trovarsi davanti a un romanzetto come mille altri, una storiellina che strizza l'occhio all'ecologismo e alla vita bucolica, l'ennesimo libretto che ci parla del "logorio della vita moderna" (cit. Cynar), magari condendo il tutto con una spruzzata di citazioni colte che di questi tempi non fa mai male.
Errore: queste considerazioni posso essere applicate al massimo al primo capitolo del libro, e rappresentano la superficie, la strategia adottata da Énard per attirare il lettore nella sua ragnatela. Quel primo capitolo, e le storie che abbozza, sono solo il sasso che cade nell'acqua e cadendo crea una serie di cerchi concentrici che si dilatandosi finiscono per portare la trama in mille direzioni diverse, soprattutto temporali.
D'altra parte lo scrittore ci aveva già avvertito nell'esergo: qui si parlerà di vite che si rincorrono nella ruota del tempo, di morte intesa come passaggio dell'anima da un corpo all'altro, da un'epoca all'altra, in modo da far diventare – miracolo della scrittura – il Marais Poitevin, una piccola zona nel sud della Vandea, il centro di un mondo immaginifico.
I cerchi si allargano e le acque si increspano: la scrittura prende a scorrere in maniera impetuosa a da lieve si fa rabelaisiana, la trama diventa un fiume in piena che si ramifica in mille rivi: sono i racconti dei componenti della confraternita dei becchini che si succedono con un procedimento simile alle novelle delle Mille e una notte. La scrittura si impenna e noi siamo costretti a rincorrere Énard che si infila lesto in un vagabondaggio letterario che non può non far pensare a Sebald: Gargantua e Lucrezio, Clodoveo e Alarico, Enrico di Navarra e Severino Boezio diventano non più i protagonisti della Storia ma gli interpreti di piccole storie che interessano la regione della Francia al centro del racconto.

Occhio lettore a Mathias Énard, è un nome da tenere d'occhio perché una delle direzioni della narrativa contemporanea passa da qui.