"Ciò che voglio mostrare ha a che fare con la luce, e con il buio, riguarda il buio luminoso così come è in tutta la pienezza del nulla"
Asle è un pittore, vedovo, che ha smesso di bere. E poi c'è un'altra possibilità di essere Asle: un pittore, semialcolizzato che si trascina tra la casa e il bar. Asle, Ales, Alise, Åsleik… nomi e altri nomi.
I primi due capitoli della settologia di Fosse sono un lunghissimo monologo senza punti che procede per accumulazioni e ripetizioni. Molte riflessioni, lunghi silenzi e pochi avvenimenti che si depositano sulle pagine portando acqua al mulino della trama, nella speranza – probabilmente vana – che possa macinare il grano della conoscenza. I dialoghi sono fili sottili, sincopati, frecce prive di velocità che cadono senza avvicinarsi al bersaglio, salvagenti che non raggiungono l'uomo che annaspa nel mare. I sentimenti sembrano qualcosa di distante, che se c'è stato ormai è passato, come la vita che scorre e va dove vuole.
Un libro sul senso della vita e della morte, sul tentativo di descrivere (se non comprendere) come vanno le cose, un libro sulla presenza e sull'assenza di Dio.
Per il protagonista dipingere è un modo di cancellare le immagini, dimenticarle perché smettano di perseguitarlo. È il dolore che va allontanato, o almeno tenuto a freno, per provare ad avvicinarsi alla quiete interiore annullandosi nel vuoto del silenzio: dipingere e scacciare il dolore per far emergere la luce dal buio.
"e in ciò che dipingo deve esserci una luce, una luce invisibile, penso, […] e la cosa strana è che il modo più facile per fare splendere i quadri è quando sono scuri, sì, e neri, sì, più scuri e neri sono i colori e più brillano, e per me il modo migliore per vedere se un quadro riluce e rendermi conto di quanto sia forte e debole questa luce, e dove sia, è quando spengo tutte le altre, quando è scuro come la notte più buia, e ovviamente è più facile vedere quando all’esterno regna l’oscurità più assoluta, […] sì, a dire la verità per me il dipinto non è concluso fino a quando non l’ho visto nell’oscurità più totale, perché in un certo senso gli occhi si abituano al buio e osservo il quadro sotto forma di luce e buio, e vedo se emana una luce, dove e come, ed è sempre, sempre la parte scura del quadro a splendere di più e penso che forse è così perché è nella disperazione, nelle tenebre che Dio è più vicino."
I personaggi di Fosse trascinano le loro esistenze muovendosi lenti in mezzo alla neve, aggirandosi come spettri che hanno perso la via e vagano senza meta dal freddo della strada al vuoto dei loro appartamenti. Asle cade e si perde, mentre dalle finestre dei palazzi sembrano osservarlo i fantasmi di Ibsen, Strindberg, Beckett, e dall'ultimo piano pare di scorgere anche il profilo di Joyce.
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