sabato 9 aprile 2022

Rogozov – Mauro Maraschi


 

«Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti» (Cit.)


Con Ruggero Gargano, il protagonista di Rogozov, Mareschi tratteggia perfettamente la figura dell'antieroe contemporaneo. Ne fotografa lo smarrimento, le contraddizioni tra pensiero e azione, l'accettazione di ideologie estemporanee. Ne segue il percorso tortuoso, la parabola sghemba alla ricerca di punti di riferimento impossibili da trovare nella "liquidità" della società moderna. 
Un individuo ormai scisso in due, quanto scollato dalla realtà, questo è Gargano.
«Non tutti si possono salvare» ha detto. «Alcuni partono male, fin da subito, per cui non troveranno mai un equilibrio che non hanno mai avuto. Altri invece magari partono bene, ma poi gli succede qualcosa, […] la loro vita deraglia, cercano di sistemare le cose ma è on ogni caso la inutile, stanno sbagliando di nuovo, e da quel momento tutto quello che fanno non è mai un'azione in sé ma sempre un tentativo di riparare a un errore, un errore che è la conseguenza di un errore che è la conseguenza di un altro errore, e così via, all'infinito."
Gargano è uno strano individuo che abbina capacità di analisi e incapacità di passare dalla teoria alla pratica. Uno sconfitto abitato da un'aggressività che fatica a tenere a freno, una tensione auto-distruttiva che finirà per esplodere.
Una figura ingombrante, che finisce per trascendere il libro che la contiene e assumere una vita propria, dando l'impressione di andare oltre le intenzioni dell'autore, di scavalcare il recinto nel quale era stato confinato, come un Don Chisciotte del terzo millennio.
Rogozov è un'ottima opera prima, non priva di qualche difetto: la scrittura è forse troppo semplice, ho trovato eccessivo il tentativo di eliminare il più possibile aggettivi e avverbi per dare ritmo alla trama, così come troppo schematica mi è sembrata la costruzione dei singoli capitoli. Peccati veniali, che nulla tolgono alla grandezza di Ruggero Gargano.
«La vita è una sequenza di errori, e anche quando ci sembra di aver fatto la cosa giusta in realtà si è trattato di un errore fortunato».



sabato 2 aprile 2022

Non è mezzanotte chi vuole – António Lobo Antunes



«a che serve il passato, non siamo sicuri se sia esistito o se ci abbiano fornito immagini che immagazziniamo nella speranza di ottenere quel che si chiama vita»

Un altro grande romanzo polifonico, un altro nodo dell'ordito che Lobo Antunes tesse instancabilmente da oltre quarant'anni, un'altra opera che chiama il lettore a dialogare con lo scrittore per superare la realtà e andare per mano in un altrove nel quale fatti, sogni, memoria e suggestioni hanno pari dignità.
Una trama essenziale: una donna che torna nella casa al mare di quando era bambina, un fine settimana che è una resa dei conti con passato e presente. Non è mezzanotte chi vuole è una lunga ellissi, un soliloquio che mescola i piani temporali, un vento caldo che avvolge i ricordi.
Nominare lo cose, richiamare i gesti antichi, raccontare i fatti per farli rivivere.
Le storie di Lobo Antunes hanno lo stesso sapore del sangue delle ferite che ti provocavi da bambino, lo stesso dolore dolce, il gusto struggente della malinconia.
Una scrittura ipnotica, che tiene insieme tutto e contemporaneamente si espande in mille direzioni. Le ripetizioni, continue, sono come la risacca del mare, onde lunghe che carezzano la riva sussurrando parole che subito cancellano per ripetere un attimo dopo. Un flusso, una musica, andare e venire che imita il ritmo della vita, provando a riprodurre i meccanismi con cui la nostra mente associa pensieri, fantasie e ricordi elevando il romanzo a unico metro in grado di misurare la verità.

sabato 19 marzo 2022

Teoria della prosa – Ricardo Piglia



Esegesi onettiana

Interessante trascrizione di nove lezioni tenute da Piglia all'Università di Buenos Aires nel 1995 nelle quali l'autore è il Virgilio che ci guida alla scoperta dell'universo letterario onettiano. Un'esegesi attenta, rigorosa e appassionata dell'opera del grande maestro uruguaiano che conferma la grandezza di Piglia come critico, peraltro già abbondantemente emersa tra le pagine di Respirazione artificiale.
C'è un'analisi della "forma" letteraria che caratterizza le opere di Onetti, la nouvelle, con le particolarità che la differenziano dal romanzo classico e la avvicinano al racconto (la nouvelle, per Piglia, è un "iper-racconto") e un'analisi della struttura, dalla quale emerge come il narratore sia spesso lontano dalla storia e racconti fatti già accaduti, che sembrano mancare sempre di qualcosa, non riuscendo mai a raggiungere il "segreto", che è ciò attorno a cui gira la trama.
Nelle opere di Onetti il narratore non è mai onnisciente e il suo è un lungo raccontare e raccontare di nuovo che invece di indicare la strada finisce per aggiungere ambiguità, aprendo la porta a nuove ipotesi, moltiplicando la trama in un dedalo di sotto-trame che a forza di riflettere la realtà la modificano allontanandoci sempre più dal centro.
Attraverso esempi e confronti con l'opera di altri mostri sacri della letteratura (Henry James, Arlt, Faulkner, Borges) Piglia descrive l'immaginario onettiano come qualcosa che non è di alternativo alla realtà ma che nasce da un disordine del quotidiano e si interseca con esso, generando un sistema di specchi, un gioco pericoloso e affascinante nel quale i due aspetti, reale e fantastico, spesso convivono nei personaggi.

P.S.: Teoria della prosa è un testo fondamentale per tutti gli amanti della prosa dello scrittore uruguaiano e risulta evidente come, nella querelle Borges-Onetti, Piglia si schieri dalla parte di quest'ultimo.

sabato 12 marzo 2022

Applausi nel cassetto – Ana Blandiana



«Nulla è più falso che immaginarti di stare a guardare dalla riva, mentre in realtà scorri insieme con l'acqua».

Opera formidabile, dalla lunga gestazione (10 anni) e dall'architettura complessa, con la trama che risulta frammentata in almeno tre storie diverse collegate secondo un'originale "teoria dei flussi" e che tendono a convergere e mescolarsi nel finale. C'è il racconto dello scrittore Alexandru Șerban scritto in terza persona, quello che si svolge nel libro che Șerban sta scrivendo, e quello autobiografico di Ana Blandiana. A tutto ciò si aggiungono sottotrame e dialoghi interpolati con brandelli di interrogatori della Securitate ai personaggi del libro.
Applausi nel cassetto è un gioiello di una grande intellettuale da seguire con attenzione, che parla della Romania ai tempi della dittatura di Ceaușescu, della claustrofobia di un'epoca difficile da spiegare e dei meccanismi che mescolando paura e abitudine, vigliaccheria e istinto di conservazione, portarono la popolazione a sottomettersi al giogo del Conducător.
Con una scrittura "alta", lirica e al tempo stesso analitica nell'affrontare le pieghe del pensiero e restituire i sentimenti dei personaggi e i suoi, Blandiana utilizza l'intersezione dei piani narrativi che sovrappongono vero e immaginario per testimoniare lo smarrimento di chi scriveva in quegli anni e si aggirava come un sonnambulo in un mondo nel quale i confini tra incubo e realtà risultavano incerti.
Nelle pagine del libro reale e fantastico sfumano uno nell'altro, così come autore e protagonista finiscono per confondersi; tutto diventa ambivalente, contraddittorio, avvolto in una danza tra vero e immaginario, con la realtà che diventa forse più finta del mondo immaginato dalla scrittrice.
"La vita è un libro" – si dice verso la fine, per poi aggiungere che "non puoi fuggire dal tuo libro". È questo uno dei punti chiave di Applausi nel cassetto, la riflessione sulla necessità della scrittura e insieme sui suoi rischi e sui suoi limiti.
Quello che non devo perdere di vista è che io non sono il personaggio, ma l'autore di questo libro. Questo perché la tentazione di passare da una categoria all'altra è tanto più grande quanto è infinitamente più facile essere personaggio piuttosto che autore. Anche se da un certo punto di vista l'autore è anche lui un personaggio, più drammatico e complicato, di qualcun altro.

domenica 6 marzo 2022

L'altro nome. Settologia I-II – Jon Fosse



"Ciò che voglio mostrare ha a che fare con la luce, e con il buio, riguarda il buio luminoso così come è in tutta la pienezza del nulla"

Asle è un pittore, vedovo, che ha smesso di bere. E poi c'è un'altra possibilità di essere Asle: un pittore, semialcolizzato che si trascina tra la casa e il bar. Asle, Ales, Alise, Åsleik… nomi e altri nomi.
I primi due capitoli della settologia di Fosse sono un lunghissimo monologo senza punti che procede per accumulazioni e ripetizioni. Molte riflessioni, lunghi silenzi e pochi avvenimenti che si depositano sulle pagine portando acqua al mulino della trama, nella speranza – probabilmente vana – che possa macinare il grano della conoscenza. I dialoghi sono fili sottili, sincopati, frecce prive di velocità che cadono senza avvicinarsi al bersaglio, salvagenti che non raggiungono l'uomo che annaspa nel mare. I sentimenti sembrano qualcosa di distante, che se c'è stato ormai è passato, come la vita che scorre e va dove vuole. 
Un libro sul senso della vita e della morte, sul tentativo di descrivere (se non comprendere) come vanno le cose, un libro sulla presenza e sull'assenza di Dio.
Per il protagonista dipingere è un modo di cancellare le immagini, dimenticarle perché smettano di perseguitarlo. È il dolore che va allontanato, o almeno tenuto a freno, per provare ad avvicinarsi alla quiete interiore annullandosi nel vuoto del silenzio: dipingere e scacciare il dolore per far emergere la luce dal buio.

"e in ciò che dipingo deve esserci una luce, una luce invisibile, penso, […] e la cosa strana è che il modo più facile per fare splendere i quadri è quando sono scuri, sì, e neri, sì, più scuri e neri sono i colori e più brillano, e per me il modo migliore per vedere se un quadro riluce e rendermi conto di quanto sia forte e debole questa luce, e dove sia, è quando spengo tutte le altre, quando è scuro come la notte più buia, e ovviamente è più facile vedere quando all’esterno regna l’oscurità più assoluta, […] sì, a dire la verità per me il dipinto non è concluso fino a quando non l’ho visto nell’oscurità più totale, perché in un certo senso gli occhi si abituano al buio e osservo il quadro sotto forma di luce e buio, e vedo se emana una luce, dove e come, ed è sempre, sempre la parte scura del quadro a splendere di più e penso che forse è così perché è nella disperazione, nelle tenebre che Dio è più vicino."

I personaggi di Fosse trascinano le loro esistenze muovendosi lenti in mezzo alla neve, aggirandosi come spettri che hanno perso la via e vagano senza meta dal freddo della strada al vuoto dei loro appartamenti. Asle cade e si perde, mentre dalle finestre dei palazzi sembrano osservarlo i fantasmi di Ibsen, Strindberg, Beckett, e dall'ultimo piano pare di scorgere anche il profilo di Joyce.