sabato 22 dicembre 2018

Pablo Montoya – Trittico dell'infamia



L'Arte non salverà il mondo

Con Trittico dell'infamia Montoya ci offre una convincente rivisitazione del romanzo storico: scrittura elegante, trama raffinata, accurata ricerca delle fonti per un libro costituito da tre parti in ognuna delle quali una voce diversa narra episodi delle stragi che incendiarono il XVI secolo. Nella prima, scritta in terza persona e incentrata sulla figura del pittore Le Moyne, è descritto l'eccidio  dei coloni francesi e dei nativi della Florida commesso dai soldati spagnoli, nella seconda è François Dubois, un altro pittore francese, ad illustrare in prima persona il massacro dei protestanti parigini nella notte di San Bartolomeo, mentre nella terza si alternano le voci del pittore de Bry e quella dell'autore stesso per dar conto dello sterminio delle popolazioni indigene di Centro e Sudamerica.
Gli eccidi commessi nel Cinquecento per ragioni politiche e religiose sono al centro di questo libro ma l'intento di Montoya non si ferma certo al cronachismo condito da qualche giudizio morale ma sembra piuttosto interessato al ruolo dell'artista davanti alle aberrazioni commesse dell'uomo: un ruolo di testimonianza, come affermato dallo stesso scrittore colombiano nel discorso pronunciato nel 2015 al ricevimento del premio Rómulo Gallegos, la constatazione dell'impotenza dell'uomo davanti alla storia ma al tempo stesso la necessità che l'artista si faccia carico di illuminare  le nebbie che ci circondano. Se la storia è destinata a ripetersi e la coazione al male non può essere evitata dall'artista, egli può almeno rappresentarlo, evidenziarlo. Forse se la parola non può cambiare il corso delle cose può almeno esercitare un potere riparatore. L'Arte non salverà il mondo ma forse potrà contribuire a migliorarlo.

sabato 15 dicembre 2018

Roberto Arlt – Acqueforti di Buenos Aires


Acqueforti di Buenos Aires è la raccolta di una serie di articoli scritti da Roberto Arlt per El mundo tra il 1928 e il 1933 e che richiama nel titolo la tecnica incisoria omonima, caratterizzata dall'ampia libertà d'azione concessa all'artista che non necessita di un lungo tirocinio per applicarsi ad essa.
Sono racconti brevissimi, istantanee che riprendono scene di vita della Buenos Aires degli anni '30, una città colta mentre stava diventando metropoli, nel momento in cui passaggio verso la modernità spingeva in maniera decisa sull'acceleratore cancellando gli aspetti più tradizionali della vita porteña. Siamo lontani – è bene dirlo subito – dalla grandezza disperata e folle de I sette pazzi e I lanciafiamme, ma si tratta tuttavia di una lettura interessante per approfondire la conoscenza con l'opera di Arlt.
La scrittura, innanzitutto. Il lunfardo, il gergo che contamina lo spagnolo con termini dialettali degli immigrati italiani e di altri paesi europei e non europei. Uno slang utilizzato dagli abitanti di Buenos Aires al quale Arlt conferisce dignità letteraria, mescolandolo con il linguaggio più "colto" perché, come scrive Ricardo Piglia in Respirazione artificiale, Arlt "non intende il linguaggio come unità, come qualcosa di coerente e liscio, come un conglomerato, una marea di gerghi e voci. […] Arlt trasforma, non riproduce."
Scrittura perfetta quindi per l'utilizzo che ne vuole fare l'autore, descrivere cioè attraverso brevi ritratti estemporanei i tipi caratteristici della società del tempo: nullafacenti, trafficoni, gente comune, furbastri… Sono fotografie di un'epoca, bozzetti via via caustici, disincantati, acuti, ironici, provocatori, curiosi. Immagini di una vita passata cariche di nostalgia, perché, scrive Arlt, "ci resta l'orgoglio di aver fatto progressi, questo sì, ma la felicità non esiste. Se l'è portata via il diavolo."