mercoledì 26 dicembre 2018
sabato 22 dicembre 2018
Pablo Montoya – Trittico dell'infamia
L'Arte
non salverà il mondo
Con Trittico dell'infamia Montoya ci offre una convincente
rivisitazione del romanzo storico: scrittura elegante, trama raffinata,
accurata ricerca delle fonti per un libro costituito da tre parti in ognuna
delle quali una voce diversa narra episodi delle stragi che incendiarono il XVI
secolo. Nella prima, scritta in terza persona e incentrata sulla figura del
pittore Le Moyne, è descritto l'eccidio dei coloni francesi e dei nativi della Florida
commesso dai soldati spagnoli, nella seconda è François Dubois, un altro
pittore francese, ad illustrare in prima persona il massacro dei protestanti
parigini nella notte di San Bartolomeo, mentre nella terza si alternano le voci
del pittore de Bry e quella dell'autore stesso per dar conto dello sterminio delle
popolazioni indigene di Centro e Sudamerica.
Gli eccidi commessi nel
Cinquecento per ragioni politiche e religiose sono al centro di questo libro ma
l'intento di Montoya non si ferma certo al cronachismo condito da qualche
giudizio morale ma sembra piuttosto interessato al ruolo dell'artista davanti alle
aberrazioni commesse dell'uomo: un ruolo di testimonianza, come affermato dallo
stesso scrittore colombiano nel discorso pronunciato nel 2015 al ricevimento
del premio Rómulo Gallegos, la constatazione dell'impotenza dell'uomo davanti
alla storia ma al tempo stesso la necessità che l'artista si faccia carico di
illuminare le nebbie che ci circondano.
Se la storia è destinata a ripetersi e la coazione al male non può essere
evitata dall'artista, egli può almeno rappresentarlo, evidenziarlo. Forse se la
parola non può cambiare il corso delle cose può almeno esercitare un potere riparatore.
L'Arte non salverà il mondo
ma forse potrà contribuire a migliorarlo.
Etichette:
letteratura colombiana,
letture,
Montoya
mercoledì 19 dicembre 2018
sabato 15 dicembre 2018
Roberto Arlt – Acqueforti di Buenos Aires
Acqueforti
di Buenos Aires è la raccolta
di una serie di articoli scritti da Roberto Arlt per El mundo tra il 1928 e il 1933 e che richiama nel titolo la tecnica
incisoria omonima, caratterizzata dall'ampia libertà d'azione concessa
all'artista che non necessita di un lungo tirocinio per applicarsi ad essa.
Sono racconti brevissimi, istantanee
che riprendono scene di vita della Buenos Aires degli anni '30, una città colta
mentre stava diventando metropoli, nel momento in cui passaggio verso la
modernità spingeva in maniera decisa sull'acceleratore cancellando gli aspetti
più tradizionali della vita porteña. Siamo lontani – è bene dirlo subito –
dalla grandezza disperata e folle de I
sette pazzi e I lanciafiamme, ma
si tratta tuttavia di una lettura interessante per approfondire la conoscenza
con l'opera di Arlt.
La scrittura, innanzitutto. Il
lunfardo, il gergo che contamina lo spagnolo con termini dialettali degli
immigrati italiani e di altri paesi europei e non europei. Uno slang utilizzato
dagli abitanti di Buenos Aires al quale Arlt conferisce dignità letteraria,
mescolandolo con il linguaggio più "colto" perché, come scrive
Ricardo Piglia in Respirazione
artificiale, Arlt "non intende il linguaggio come unità, come qualcosa
di coerente e liscio, come un conglomerato, una marea di gerghi e voci. […] Arlt
trasforma, non riproduce."
Scrittura perfetta quindi per
l'utilizzo che ne vuole fare l'autore, descrivere cioè attraverso brevi
ritratti estemporanei i tipi caratteristici della società del tempo:
nullafacenti, trafficoni, gente comune, furbastri… Sono fotografie di un'epoca,
bozzetti via via caustici, disincantati, acuti, ironici, provocatori, curiosi.
Immagini di una vita passata cariche di nostalgia, perché, scrive Arlt,
"ci resta l'orgoglio di aver fatto progressi, questo sì, ma la felicità
non esiste. Se l'è portata via il diavolo."
domenica 9 dicembre 2018
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