Acqueforti
di Buenos Aires è la raccolta
di una serie di articoli scritti da Roberto Arlt per El mundo tra il 1928 e il 1933 e che richiama nel titolo la tecnica
incisoria omonima, caratterizzata dall'ampia libertà d'azione concessa
all'artista che non necessita di un lungo tirocinio per applicarsi ad essa.
Sono racconti brevissimi, istantanee
che riprendono scene di vita della Buenos Aires degli anni '30, una città colta
mentre stava diventando metropoli, nel momento in cui passaggio verso la
modernità spingeva in maniera decisa sull'acceleratore cancellando gli aspetti
più tradizionali della vita porteña. Siamo lontani – è bene dirlo subito –
dalla grandezza disperata e folle de I
sette pazzi e I lanciafiamme, ma
si tratta tuttavia di una lettura interessante per approfondire la conoscenza
con l'opera di Arlt.
La scrittura, innanzitutto. Il
lunfardo, il gergo che contamina lo spagnolo con termini dialettali degli
immigrati italiani e di altri paesi europei e non europei. Uno slang utilizzato
dagli abitanti di Buenos Aires al quale Arlt conferisce dignità letteraria,
mescolandolo con il linguaggio più "colto" perché, come scrive
Ricardo Piglia in Respirazione
artificiale, Arlt "non intende il linguaggio come unità, come qualcosa
di coerente e liscio, come un conglomerato, una marea di gerghi e voci. […] Arlt
trasforma, non riproduce."
Scrittura perfetta quindi per
l'utilizzo che ne vuole fare l'autore, descrivere cioè attraverso brevi
ritratti estemporanei i tipi caratteristici della società del tempo:
nullafacenti, trafficoni, gente comune, furbastri… Sono fotografie di un'epoca,
bozzetti via via caustici, disincantati, acuti, ironici, provocatori, curiosi.
Immagini di una vita passata cariche di nostalgia, perché, scrive Arlt,
"ci resta l'orgoglio di aver fatto progressi, questo sì, ma la felicità
non esiste. Se l'è portata via il diavolo."
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