L'Arte
non salverà il mondo
Con Trittico dell'infamia Montoya ci offre una convincente
rivisitazione del romanzo storico: scrittura elegante, trama raffinata,
accurata ricerca delle fonti per un libro costituito da tre parti in ognuna
delle quali una voce diversa narra episodi delle stragi che incendiarono il XVI
secolo. Nella prima, scritta in terza persona e incentrata sulla figura del
pittore Le Moyne, è descritto l'eccidio dei coloni francesi e dei nativi della Florida
commesso dai soldati spagnoli, nella seconda è François Dubois, un altro
pittore francese, ad illustrare in prima persona il massacro dei protestanti
parigini nella notte di San Bartolomeo, mentre nella terza si alternano le voci
del pittore de Bry e quella dell'autore stesso per dar conto dello sterminio delle
popolazioni indigene di Centro e Sudamerica.
Gli eccidi commessi nel
Cinquecento per ragioni politiche e religiose sono al centro di questo libro ma
l'intento di Montoya non si ferma certo al cronachismo condito da qualche
giudizio morale ma sembra piuttosto interessato al ruolo dell'artista davanti alle
aberrazioni commesse dell'uomo: un ruolo di testimonianza, come affermato dallo
stesso scrittore colombiano nel discorso pronunciato nel 2015 al ricevimento
del premio Rómulo Gallegos, la constatazione dell'impotenza dell'uomo davanti
alla storia ma al tempo stesso la necessità che l'artista si faccia carico di
illuminare le nebbie che ci circondano.
Se la storia è destinata a ripetersi e la coazione al male non può essere
evitata dall'artista, egli può almeno rappresentarlo, evidenziarlo. Forse se la
parola non può cambiare il corso delle cose può almeno esercitare un potere riparatore.
L'Arte non salverà il mondo
ma forse potrà contribuire a migliorarlo.
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