Consiglio: scegliete una bella
giornata. Facciamo un sabato, un sabato mattina. Prendete la vostra
copia de “la scuola degli sciocchi”, lasciate il cellulare in
casa ed uscite. Potete andare al mare, al fiume, in campagna, al
lago, al parco... andate dove volete, ma uscite. Trovatevi un
posticino tranquillo e poi partite con la lettura.
Vi aspetta un viaggio stralunato, che
dallo stagno della stazione vi porterà a spasso per le dacie della
campagna russa ed oltre, attraverso uno spazio ed un tempo che si
dilatano e restringono a piacimento. Accompagnerete lo scolaro tal
del tali, della scuola differenziale, attraverso le varie tappe della
sua vita, seguirete la sua via, “che non è né breve né lunga, ma
simile al tragitto di un pallido ago da cucito che ricuce una nuvola
stracciata dal vento”.
Probabilmente vi ci vorrà un po' per
entrare nel ritmo e nello stile di Sokolov, ma insistete. Salire su
questa giostra sulle prime potrà farvi girare la testa, ma ne varrà
la pena. Fidatevi.
Farete la conoscenza di Micheev (o
Medvedev), il postino, ma soprattutto il Suscitatore del Vento.
Incontrerete il maestro Norvegov, uomo libero e sognante. Vi
ritroverete nel fossato del castello di Milano a dialogare con
Leonardo e poche pagine più in là vi imbatterete in Rosa Ventosa,
la bambina di gesso, e poi nella direttrice didattica Trachtemberg (o
Tinbergen) e nel suo giradischi. Scoprirete chi sono Veta Akatova (o
Arkad'evna), l'insegnante della scuola e il naturalista Akatov, suo
padre, studioso delle “galle” delle piante.
Ancora un'avvertenza: come avrete
capito, per apprezzare la poesia di questo libro sarà necessario
lasciarsi portare dalla corrente, senza cercare di trovare una
spiegazione per ad ogni cosa.
Solo così sarà possibile accettare
che il protagonista si trasformi in ninfea, ma solo in parte. Solo
così si potrà accompagnare “Quelli che Sono Venuti” fino a casa
dell'ispettore tal dei tali, per sapere se il pigiama che indossa è
stato comprato o fatto in casa. Solo così si potrà viaggiare per la
Terra del Caprimurgo Solitario, uccello della bella estate.
Proprio quando avrete cominciato a
prendere confidenza con la narrazione, vi troverete davanti ad un
inaspettato salto di ritmo ed alla bellezza struggente dei racconti
del capitolo secondo (le storie scritte sulla veranda). Leggerete di
“nuvole flaccide come muscoli di uomini vecchi”, di un “autunno
che si estendeva di là dai vetri della finestra” e di “passanti
che si affrettavano verso casa sognando di trasformarsi in uccelli”.
Scoprirete cos'è il Criterio delle Pantofole, introdotto dal preside
della scuola e cos'è la memoria selettiva, “che ci permette di
vivere come vogliamo, perché ricordiamo solo ciò che ci serve”.
Giocherete a scacchi con l'elefancavallo, ascolterete l'odore
dell'inverno ed urlerete dentro le botti per riempire il vuoto.
Scoprirete che “nessuno è in grado di imparare a memoria il rumore
della pioggia e il profumo della violaciocca”. Vedrete un ponte
spalancarsi in tutta la sua struttura “come la spina dorsale di un
gatto spaventato”, e sentirete Rosa Ventosa cantare “con voce
simile al planare di un uccello ferito, al colore di un bagliore di
neve.”
Se vi lascerete portare dalla corrente
sarete ripagati con la moneta della bellezza, la bellezza un libro
sull'infanzia “che passa come un tram arancione che sferraglia
sopra il ponte”.
E pazienza se poi, alla fine del libro,
sarà finita anche la magia. Tornare alla quotidianità sarà
inevitabile, ma nella Terra del Caprimurgo Solitario voi ci sarete
stati, ed ora saprete che passare dall'altra parte dello specchio è
possibile.
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