domenica 20 maggio 2012

La scuola degli sciocchi - Sokolov



Consiglio: scegliete una bella giornata. Facciamo un sabato, un sabato mattina. Prendete la vostra copia de “la scuola degli sciocchi”, lasciate il cellulare in casa ed uscite. Potete andare al mare, al fiume, in campagna, al lago, al parco... andate dove volete, ma uscite. Trovatevi un posticino tranquillo e poi partite con la lettura.
Vi aspetta un viaggio stralunato, che dallo stagno della stazione vi porterà a spasso per le dacie della campagna russa ed oltre, attraverso uno spazio ed un tempo che si dilatano e restringono a piacimento. Accompagnerete lo scolaro tal del tali, della scuola differenziale, attraverso le varie tappe della sua vita, seguirete la sua via, “che non è né breve né lunga, ma simile al tragitto di un pallido ago da cucito che ricuce una nuvola stracciata dal vento”.
Probabilmente vi ci vorrà un po' per entrare nel ritmo e nello stile di Sokolov, ma insistete. Salire su questa giostra sulle prime potrà farvi girare la testa, ma ne varrà la pena. Fidatevi.
Farete la conoscenza di Micheev (o Medvedev), il postino, ma soprattutto il Suscitatore del Vento. Incontrerete il maestro Norvegov, uomo libero e sognante. Vi ritroverete nel fossato del castello di Milano a dialogare con Leonardo e poche pagine più in là vi imbatterete in Rosa Ventosa, la bambina di gesso, e poi nella direttrice didattica Trachtemberg (o Tinbergen) e nel suo giradischi. Scoprirete chi sono Veta Akatova (o Arkad'evna), l'insegnante della scuola e il naturalista Akatov, suo padre, studioso delle “galle” delle piante.
Ancora un'avvertenza: come avrete capito, per apprezzare la poesia di questo libro sarà necessario lasciarsi portare dalla corrente, senza cercare di trovare una spiegazione per ad ogni cosa.
Solo così sarà possibile accettare che il protagonista si trasformi in ninfea, ma solo in parte. Solo così si potrà accompagnare “Quelli che Sono Venuti” fino a casa dell'ispettore tal dei tali, per sapere se il pigiama che indossa è stato comprato o fatto in casa. Solo così si potrà viaggiare per la Terra del Caprimurgo Solitario, uccello della bella estate.
Proprio quando avrete cominciato a prendere confidenza con la narrazione, vi troverete davanti ad un inaspettato salto di ritmo ed alla bellezza struggente dei racconti del capitolo secondo (le storie scritte sulla veranda). Leggerete di “nuvole flaccide come muscoli di uomini vecchi”, di un “autunno che si estendeva di là dai vetri della finestra” e di “passanti che si affrettavano verso casa sognando di trasformarsi in uccelli”. Scoprirete cos'è il Criterio delle Pantofole, introdotto dal preside della scuola e cos'è la memoria selettiva, “che ci permette di vivere come vogliamo, perché ricordiamo solo ciò che ci serve”. Giocherete a scacchi con l'elefancavallo, ascolterete l'odore dell'inverno ed urlerete dentro le botti per riempire il vuoto. Scoprirete che “nessuno è in grado di imparare a memoria il rumore della pioggia e il profumo della violaciocca”. Vedrete un ponte spalancarsi in tutta la sua struttura “come la spina dorsale di un gatto spaventato”, e sentirete Rosa Ventosa cantare “con voce simile al planare di un uccello ferito, al colore di un bagliore di neve.”
Se vi lascerete portare dalla corrente sarete ripagati con la moneta della bellezza, la bellezza un libro sull'infanzia “che passa come un tram arancione che sferraglia sopra il ponte”.
E pazienza se poi, alla fine del libro, sarà finita anche la magia. Tornare alla quotidianità sarà inevitabile, ma nella Terra del Caprimurgo Solitario voi ci sarete stati, ed ora saprete che passare dall'altra parte dello specchio è possibile.

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