domenica 26 gennaio 2014

George Saunders - Dieci dicembre


Raccolta di racconti dove la prima cosa che si nota è la forte caratterizzazione linguistica dei personaggi, così ben individuabili dalle loro voci che nei dialoghi spesso non è necessario specificare chi sta parlando. Un'originalità che però non è mai fine a se stessa, ma funzionale alla trama che viene raccontata; non c'è manierismo, compiacimento o voglia di stupire, ma solo esigenza di capire. 
E da capire c'è molto, perché l'universo che Saunders racconta è decisamente problematico, difficile da mettere a fuoco, perché abitato da personaggi che vivono chiusi nel loro mondo fino ad arrivare al punto da comunicare per immagini, come il protagonista di Croci che affida ad un simbolo il compito di rappresentarlo, di fare da tramite tra sé e gli altri. 
Si va avanti con un ritmo sincopato, caratterizzato da cambi di prospettiva e di registri narrativi sia all'interno di ogni singolo racconto che tra una storia e l'altra. Si passa da storie che parlano della vita reale ad altre ambientati in mondi (forse) impossibili, si passa dalla farsa alla tragedia come se fossimo sulle montagne russe ma la bravura da Saunders sta nel governare alla perfezione il materiale che ha a disposizione grazie ad una scrittura sempre chiara, mai “eccessiva”. 
I personaggi di “Dieci dicembre” sono genitori che credono di adottare i comportamenti più adatti per entrare in sintonia con i figli mentre in realtà non si rendono conto di quanto sono lontani da loro, sono bambini (ed adulti) che faticano a prendere decisioni perché schiacciati dal senso del dovere, dai sensi di colpa, da vissuti familiari o da quella voce interiore che invece di suggerire loro cosa fare finisce per aumentare la confusione. 
Sono personaggi che spesso hanno difficoltà a verbalizzare e più che parlare monologano, vivono in un mondo di fantasia diverso da quello reale. E gli altri? Gli altri vivono nell'idea che ci facciamo di loro, ed è sempre un'idea imprecisa, sono un termine di paragone, un confronto che ci spinge a comportarci in maniera tale da cercare di reggere il confronto. 
Racconti sulla difficoltà di comunicare, quindi, ma che lasciano aperto uno spiraglio. L'occhio con cui Saunders guarda ai suoi personaggi è sempre un occhio compassionevole ed in questo mi sembra di scorgere più di una analogia con David Foster Wallace.

domenica 19 gennaio 2014

Il polpo e il pescatore


Non temere le parole 
sbattile come il polpo sulla pietra 
fino a che non si arrendano, 
fino a guadagnarne tutto l’inchiostro 
fino a tingertene le mani. 

Stupido, 
per questo non sarai mai poeta 

perché non sei diventato polpo 

ma solo e soltanto 
ostinato pescatore

[Spyros Aravanis]

sabato 18 gennaio 2014

William Faulkner - Mentre morivo


A volte ritorna. 
La grande epica, si intende. Quella della tragedia greca, quella che può rimanere nascosta anche millenni, magari finire dimenticata, fuori moda, superata, ma che non muore mai. Fuoco che cova sotto la cenere, fiume carsico che scorre nascosto in attesa di un varco che gli permetta di saltare fuori ed esplodere in tutta la sua potenza. 
Tutto questo è “Mentre morivo”, un affresco a tinte forti, dove tutto è vero e non c'è nulla di artefatto. Le cose, le persone, i sentimenti restituiti per quello che sono, senza concessione a buonismi o aiutini al lettore. Faulkner non fa sconti: non gli interessa spiegare, rendere accessibile, semplificare o roba del genere ma farci vedere il dramma con gli occhi dei protagonisti, farcelo ascoltare attraverso le loro voci. E lo fa attraverso una scrittura densa che restituisce al meglio la cappa di dolore e sofferenza che grava sui protagonisti, l'atmosfera cupa e febbrile, l'inevitabilità degli eventi, un sentire che spesso è contraddittorio, inespresso o espresso solo in parte. 
E poi il viaggio, la grande metafora americana, vista con gli occhi degli sconfitti, degli ultimi. 
In estrema sintesi si potrebbe dire che “Mentre morivo” è un libro che racconta l'epica dei vinti, l'epica ai tempi della Grande Depressione. 
Scusate se è poco.

domenica 12 gennaio 2014

sull'impossibile che è in noi



E Ulrich seguitò:
- Ogni grande libro spira questo amore per i destini dei singoli individui che non si adattano alle forme che la collettività vuol loro imporre. Ciò porta a risoluzioni che non si lasciano risolvere. Estrai il senso da tutte le opere poetiche e ne ricaverai una smentita interminabile di tutte le norme, le regole e i principî vigenti sui quali posa la società che ama tali poesie! Per di più una poesia col suo mistero trafigge da parte a parte il senso del mondo e ne fa un pallone che se ne vola via. Se questo, com’è costume, si chiama bellezza, allora la bellezza dovrebb'essere uno sconvolgimento mille volte più crudele e spietato di qualunque rivoluzione politica!
Walter si era sbiadito fin nelle labbra. Odiava quel concetto dell’arte come negazione della vita, come opposizione alla vita: - Se un uomo prendesse a solo fondamento della sua vita la tua proposta dovrebbe consentire a tutto ciò che una bella idea gli suggerisce, naturalmente questo porterebbe a una decadenza generale. Secondo me quell’individuo per la maggior parte della vita sarà in balia dei suoi istinti, dei suoi capricci, delle solite passioni di tutti, cioè di quanto v’è di più impersonale nell’uomo, e dovrebbe, per così dire, finché dura l’ostruzione della conduttura superiore, abbandonarsi risolutamente all’impulso?
- Dovrebbe astenersi dal fare qualsiasi cosa! - rispose Clarisse invece di Ulrich. - Quest’è la passività attiva di cui bisogna essere capaci in certe circostanze!
- Dio mio, - ammise Ulrich corrivo, - non hai mica torto. Ma molto spesso per spirito sportivo noi giudichiamo con indulgenza azioni che ci danneggiano, purché l’avversario le abbia compiute leggiadramente; il valore dell’esecuzione rivaleggia allora col valore del danno. Sovente poi abbiamo anche un’idea e per un poco operiamo in conformità ad essa, ma ben presto subentrano ostinazione, abitudine, vantaggio e suggestione, perché è inevitabile. Sicché io in fondo ho forse descritto una condizione che non si può assolutamente portare sino alla fine, ma una cosa non si può negare: è in tutto e per tutto la condizione attuale in cui viviamo.
Walter si era di nuovo calmato.
- Se si rovescia la verità, si può sempre dire qualcosa che è tanto vero quanto falso, - disse dolcemente, senza nascondere che il prolungamento della discussione non lo interessava più. - È proprio da te asserire che una cosa è impossibile ma vera!
Ma Clarisse si strofinò energicamente il naso.
- Mi sembra molto importante, - opinò, - che in noi tutti ci sia qualcosa d’impossibile. Spiega tante cose. Mentre ascoltavo ho avuto l’impressione che se si potesse sezionarci, forse tutta la nostra vita avrebbe l’aspetto di un anello, così, che gira intorno a qualcosa - S’era tolta la fede dal dito e guardava attraverso il cerchietto la parete illuminata. - Voglio dire che l’anello nel centro non ha nulla, eppure sembra che per lui sia proprio il centro che conta! Del resto nemmeno Ulrich saprebbe esprimerlo perfettamente.

[Robert Musil: "L'uomo senza qualità"]

sabato 11 gennaio 2014

Georgi Gospodinov - Fisica della malinconia


Un libro decisamente originale per forma e contenuti. Un romanzo che è anche una raccolta di micro-racconti e una specie di diario autobiografico, con la narrazione che procede per flash, immagini e digressioni, tra salti temporali e continui passaggi dalla prima alla terza persona. 
Ce ne sarebbe abbastanza per disorientare il lettore e invece l'alchimia funziona alla perfezione, merito - come detto - anche dell'originalità della trama, che vede come protagonista un bambino che soffre di empatia patologica per cui tende a identificarsi con persone, animali e cose e vivere in prima persona le loro esperienze. E la prima delle figure che colpiranno l'attenzione del bambino è una specie di uomo-toro del circo, una sorta di Minotauro che darà il via al processo di immedesimazione del protagonista e al suo viaggio all'interno del labirinto della memoria per andare a prendere quello che giace dimenticato e riportarlo alla luce in modo da farlo rivivere ancora per un po'. 
Il mito del Minotauro è appunto l'altra idea forte alla base del romanzo, con tutte le chiavi di lettura che ciò comporta: il Minotauro che esprime bene la duplicità della nostra persona, quel misto di razionale e irrazionale che ci governa, figura che attrae e respinge, carnefice e al tempo stesso vittima innocente, simile a noi ma diverso perché esprime quell'animalità che cerchiamo di nascondere, noi siamo il Minotauro ma siamo anche Teseo, l'eroe solare che scende nel fondo del labirinto per uccidere il mostro e poi ritornare alla luce. 
Il labirinto della memoria, nel quale Gospodinov si avventura per andare a recuperare i ricordi serve anche a proteggere la nostra intimità ed è il luogo dove il protagonista si rifugerà nell'età adulta, quando, improvvisamente guarito dalla sindrome acuta empatico-somatica, cercherà di guardare le cose da una differente angolazione diventando mercante di storie, andando cioè in giro a comprare racconti delle vite degli altri come se fosse posseduto dal bisogno compulsivo di raccogliere quanti più racconti possibile per trasmetterli ai posteri. Storie di uomini e storie di animali, storie dove l'uomo non è più il centro dell'universo ma solo un elemento tra i tanti, storie tra sogno e memoria. 
Sforzo disperato e vano quello di accumulare ed inventariare tutto il possibile per poterlo trattenere ancora un po': quello che passa, passa sempre più veloce ed oggi diventa ieri sempre più rapidamente, questa è la considerazione che apre alla terza parte del romanzo, quella dell'autunno e della malinconia, la stagione dell'amarezza e della consapevolezza che il passato è passato e che se le cose non sono andate come avrebbero potuto andare ormai è troppo tardi per intervenire e non è possibile cambiarne il finale. Per quanto lo scrittore si affanni a cercare escamotages ed espedienti narrativi per prolungarne la vita, le cose, prima o poi, finiscono, questa è la realtà davanti alla quale siamo costretti a piegare il capo.

domenica 5 gennaio 2014

Ultimo brindisi


Che lo vogliamo o no 
abbiamo solo tre alternative: 
ieri, il presente, e domani. 

 E neppure poi tre 
perché come dice il filosofo 
ieri è ieri 
ci appartiene solo nel ricordo: 
alla rosa che ha perso le foglie 
non puoi levarle un altro petalo. 

Le carte da giocare 
sono solo due: 
il presente e il giorno di domani. 

E neppure due 
perché è un fatto ben stabilito 
che il presente non esiste 
se non nella misura in cui si fa passato 
e già passò… 
come la gioventù. 

Riassumendo 
ci resta solo il domani: 
io sollevo la mia coppa 
per questo giorno che non arriva mai 
che però è l’unico 
di cui realmente disponiamo. 

 [Nicanor Parra]

sabato 4 gennaio 2014

Best book award 2013


Elenco dei libri letti nel 2013: 

  • Richard Ford – Lo stato delle cose 
  • Philip Roth – Nemesi 
  • Chad Harbach – L'arte di vivere in difesa 
  • Paolo Cognetti – Sofia si veste sempre di nero 
  • Sherwood Anderson – Winesburg, Ohio 
  • Richard Yates – Revolutionary Road 
  • Annie Proulx – Avviso ai naviganti 
  • Alice Munro – Troppa felicità 
  • Platone – Il simposio 
  • Nathan Englander – Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank 
  • Juan Josè Saer – Cicatrici 
  • Sherwood Anderson – L'uovo 
  • Juan Rulfo – Pedro Paramo 
  • Julian Barnes – Il senso di una fine 
  • Felisberto Hernàndez – Nessuno accendeva le lampade 
  • Robert Musil – L'uomo senza qualità 
  • Winfried G. Sebald - Austerlitz 
  • W. Somerset Maugham – Acque morte 
  • Roberto Bolaño – Tra parentesi 
  • Ethan Canin – L'imperatore dell'aria 
  • Giorgio Falco – L'ubicazione del bene 
  • Francis Spufford – L'ultima favola russa 
  • Gina Ochsner – Il libro russo dei sogni a colori 
  • Patril Ourednik – Oggi e dopodomani 
  • Jon Kalman Stefànsson – Luce d'estate ed è subito notte 
  • David Foster Wallace – Roger Federer come esperienza religiosa 
  • Roberto Arlt – I sette pazzi 
  • Nikolai Leskov – Il viaggiatore incantato 
  • Philip Roth – L'animale morente 
  • Artur Koestler – Buio a mezzogiorno 
  • Mikhail Bulgakov – Il maestro e Margherita 
  • David Foster Wallace – Considera l'aragosta 
  • Alice Munro – Chi ti credi di essere? 
  • Alice Munro – Scherzi del destino 
  • Macedonio Fernandez – La materia del nulla 
  • David Foster Wallace – La scopa del sistema 
  • Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano 
  • Platone – Eutifrone 
  • Vasilij Grossman – Vita e Destino 
  • Georgi Gospodinov – Fisica della malinconia 


 Prima fase
Per stilare una graduatoria la commissione esaminatrice (io, Lars W. Vencelowe, Héctor Genta, Xenia Dubinina, S.A. Samoilov e Leonard Jacob) procede ad escludere come di consueto classici e semi classici (dopo un'estenuante discussione su chi può essere considerato “classico” e dopo le vibranti polemiche di Héctor Genta per il rifiuto degli altri membri ad inserire nella categoria Arlt, Fernandez e Saer). 

Seconda fase
A questo punto una prima votazione dei giurati esclude Harbach, Cognetti, Proulx, Englander, Barnes, Ourednik, Leskov, Fernandez e Yourcenar e poi una seconda elimina i libri di Saer, Falco, Spufford ed Arlt. 

La cinquina finale risulta pertanto così composta: 

  • Felisberto Hernàndez – Nessuno accendeva le lampade 
  • Gina Ochsner – Il libro russo dei sogni a colori 
  • Jon Kalman Stefànsson – Luce d'estate ed è subito notte
  • Artur Koestler – Buio a mezzogiorno 
  • Georgi Gospodinov – Fisica della malinconia 


Classifica finale


 Secondi (ex-aequo)
Jon Kalman Stefànsson – Luce d'estate ed è subito notte 


Georgi Gospodinov – Fisica della malinconia 





Primo classificato (premio libro dell'anno 2013) 

Felisberto Hernàndez – Nessuno accendeva le lampade

mercoledì 1 gennaio 2014

(Buoni) propositi di lettura per il 2014


Un'opera della letteratura russa,
e una di narrativa americana.
Almeno un classico greco,
e una raccolta di poesie.
Un'occhiata al Sudamerica e una al centro Europa, 
un giro in Scandinavia e un salto chissà dove, 
un po' di nuove uscite e vecchie cose.
E qualcosa di italiano, si intende.