Vita
singolare e plurale di Juan María
Brausen
Di
tutti i topoi
della letteratura latino-americana quello della finzione è
probabilmente il più rappresentativo e anche quello che si potrebbe
utilizzare come paradigma per misurare differenze (molte)e analogie
(?) tra Borges e Onetti.
La
finzione è il motore della storia, il centro intorno al quale ruota
La vita breve,
romanzo intenso e bellissimo, animato da personaggi che vivono
contemporaneamente nel mondo e nel loro
mondo, un loro mondo che può essere di volta in volta quello del
ricordo, quello di un futuro sognato, quello della fantasia senza
freni, quello della finzione consapevole (almeno fino ad un certo
punto), quello dell'ebbrezza alcoolica... tanti mondi “altri”,
una serie infinita, lunga almeno quanto la serie dei personaggi che
Onetti porta in scena.
La
vita breve inizia con
l'attesa, un altro topos decisamente importante. Nel giorno di Santa
Rosa, mentre tutti attendono l'arrivo del temporale che darà inizio
alla primavera portando un po' di sollievo dal caldo, Brausen attende
l'arrivo di Gertrudis appoggiato alla parete che divide il suo
appartamento da quello della Queca, intento ad ascoltare i rumori che
vengono da lì, a cercare di decifrarli per ricostruire cosa sta
succedendo in quelle stanze. L'attesa, dunque: attesa di qualcosa che
deve iniziare, qualcosa di diverso da quello che c'è ora, attesa di
un cambiamento. L'attesa, il carburante migliore di cui si nutre
l'immaginazione: fino a quando le cose devono ancora succedere tutto
è possibile e nulla precluso, quando le cose sono successe si può
solo prenderne atto e di tutte le possibilità che prima erano in
gioco ne sopravvive solo una.
Sognare
è bello, ma un sogno per sopravvivere ha bisogno di alimentarsi
anche di possibilità, ha bisogno che si creda nella sua
realizzazione, magari in un futuro lontano, magari come
un'eventualità difficile, difficilissima se non remota, ma un sogno
irrealizzabile è un sogno che nasce con le ali mozzate.
Si
può vivere senza sogni? Può darsi, ma a questa domanda io non
saprei rispondere, quello che posso dire è che io non ne sono
capace. E neanche i personaggi de La
vita breve, mossi da
necessità, da una tensione che non sempre è chiara e che non si sa
a che cosa può portare. Personaggi dalla psicologia decisamente
complessa; Brausen, ad esempio, sembra avere qualcosa appiccicato
addosso dal quale vuole liberarsi, qualcosa che non vede ma del quale
sente il fastidio pur senza riuscire a definirlo e contemporaneamente
si sente spinto verso qualcuno (la Queca, ha bisogno di desiderarla)
senza comprenderne le ragioni. Personalità divise,quindi: in fuga da
e in cerca di... già, il problema è che sanno quello che stanno
facendo (fuggire e cercare) ma ne ignorano i motivi, agendo a livello
più emotivo che razionale.
Stando
così le cose il rischio è dietro l'angolo: un'atomizzazione del
personaggio, una sua frammentazione orientata verso una deriva
schizofrenica oppure una situazione di stallo, un'impossibilità di
movimento perché tutto quello che gli ruota intorno sta franando.
Morire di esplosione o implosione, non è che faccia poi tanta
differenza... Onetti però scavalca l'ostacolo, sostituendo al sogno
la finzione: Brausen non immagina mondi fantastici, non sogna per
sognare, ma costruisce una finzione, decidendo di spostarsi e vivere
in uno spazio diverso. C'è il mondo reale, quello dove vive tutti i
giorni e il mondo di finzione, quello di Santa María, dove fa vivere
i suoi personaggi e poi c'è anche una specie di “camera di
compensazione”, la stanza della Queca, il luogo dove vita reale e
vita immaginata si incontrano e si mescolano.
Funziona?
Per un po', perché lasciare la realtà per spostarsi in un'altra
dimensione non è solo un bisogno o un piacere della mente, ma anche
un rischio. Si abbandonano le certezze e ci si avventura in
territori inesplorati, nei quali non esistono regole e le cose che
sembrano gestibili possono di colpo andare in direzioni inaspettate.
Il gioco rischia di sfuggirci di mano e allora non si capisce più
chi conduce le danze, chi è il creatore e chi il creato. Come
succederà a Brausen, quando da demiurgo diventerà personaggio tra i
personaggi, partecipe (e non più artefice) di un finale
pirandelliano da Sei
personaggi in cerca d'autore,
e condannato come gli altri a vivere in maschera, travestito, a
interpretare un ruolo senza sapere chi è veramente, se un essere
reale che immagina una vita diversa o un essere immaginato da qualcun
altro.
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