sabato 18 luglio 2015

Juan Carlos Onetti – La vita breve


Vita singolare e plurale di Juan María Brausen

Di tutti i topoi della letteratura latino-americana quello della finzione è probabilmente il più rappresentativo e anche quello che si potrebbe utilizzare come paradigma per misurare differenze (molte)e analogie (?) tra Borges e Onetti.
La finzione è il motore della storia, il centro intorno al quale ruota La vita breve, romanzo intenso e bellissimo, animato da personaggi che vivono contemporaneamente nel mondo e nel loro mondo, un loro mondo che può essere di volta in volta quello del ricordo, quello di un futuro sognato, quello della fantasia senza freni, quello della finzione consapevole (almeno fino ad un certo punto), quello dell'ebbrezza alcoolica... tanti mondi “altri”, una serie infinita, lunga almeno quanto la serie dei personaggi che Onetti porta in scena.
La vita breve inizia con l'attesa, un altro topos decisamente importante. Nel giorno di Santa Rosa, mentre tutti attendono l'arrivo del temporale che darà inizio alla primavera portando un po' di sollievo dal caldo, Brausen attende l'arrivo di Gertrudis appoggiato alla parete che divide il suo appartamento da quello della Queca, intento ad ascoltare i rumori che vengono da lì, a cercare di decifrarli per ricostruire cosa sta succedendo in quelle stanze. L'attesa, dunque: attesa di qualcosa che deve iniziare, qualcosa di diverso da quello che c'è ora, attesa di un cambiamento. L'attesa, il carburante migliore di cui si nutre l'immaginazione: fino a quando le cose devono ancora succedere tutto è possibile e nulla precluso, quando le cose sono successe si può solo prenderne atto e di tutte le possibilità che prima erano in gioco ne sopravvive solo una.
Sognare è bello, ma un sogno per sopravvivere ha bisogno di alimentarsi anche di possibilità, ha bisogno che si creda nella sua realizzazione, magari in un futuro lontano, magari come un'eventualità difficile, difficilissima se non remota, ma un sogno irrealizzabile è un sogno che nasce con le ali mozzate.
Si può vivere senza sogni? Può darsi, ma a questa domanda io non saprei rispondere, quello che posso dire è che io non ne sono capace. E neanche i personaggi de La vita breve, mossi da necessità, da una tensione che non sempre è chiara e che non si sa a che cosa può portare. Personaggi dalla psicologia decisamente complessa; Brausen, ad esempio, sembra avere qualcosa appiccicato addosso dal quale vuole liberarsi, qualcosa che non vede ma del quale sente il fastidio pur senza riuscire a definirlo e contemporaneamente si sente spinto verso qualcuno (la Queca, ha bisogno di desiderarla) senza comprenderne le ragioni. Personalità divise,quindi: in fuga da e in cerca di... già, il problema è che sanno quello che stanno facendo (fuggire e cercare) ma ne ignorano i motivi, agendo a livello più emotivo che razionale.
Stando così le cose il rischio è dietro l'angolo: un'atomizzazione del personaggio, una sua frammentazione orientata verso una deriva schizofrenica oppure una situazione di stallo, un'impossibilità di movimento perché tutto quello che gli ruota intorno sta franando. Morire di esplosione o implosione, non è che faccia poi tanta differenza... Onetti però scavalca l'ostacolo, sostituendo al sogno la finzione: Brausen non immagina mondi fantastici, non sogna per sognare, ma costruisce una finzione, decidendo di spostarsi e vivere in uno spazio diverso. C'è il mondo reale, quello dove vive tutti i giorni e il mondo di finzione, quello di Santa María, dove fa vivere i suoi personaggi e poi c'è anche una specie di “camera di compensazione”, la stanza della Queca, il luogo dove vita reale e vita immaginata si incontrano e si mescolano.
Funziona? Per un po', perché lasciare la realtà per spostarsi in un'altra dimensione non è solo un bisogno o un piacere della mente, ma anche un rischio. Si abbandonano le certezze e ci si avventura in territori inesplorati, nei quali non esistono regole e le cose che sembrano gestibili possono di colpo andare in direzioni inaspettate. Il gioco rischia di sfuggirci di mano e allora non si capisce più chi conduce le danze, chi è il creatore e chi il creato. Come succederà a Brausen, quando da demiurgo diventerà personaggio tra i personaggi, partecipe (e non più artefice) di un finale pirandelliano da Sei personaggi in cerca d'autore, e condannato come gli altri a vivere in maschera, travestito, a interpretare un ruolo senza sapere chi è veramente, se un essere reale che immagina una vita diversa o un essere immaginato da qualcun altro.


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