l'amor che move
il sole e l’altre stelle
La cosa più difficile che ci sia al mondo è scrivere una prosa assolutamente onesta sugli esseri umani” (E. Hemingway).
“Sono contrario a tutti i trucchi che richiamano l’attenzione
su se stessi, mostrando lo sforzo dello scrittore di risultare ingegnoso, o
semplicemente poco diretto” (R. Carver).
Partiamo da qui,
e diciamo subito che Calvisi è un autore che soddisfa entrambi i criteri esposti.
Certo, stiamo parlando di uno scrittore di nicchia (in questo momento su anobii
Adieu mon coeur conta otto lettori e
diciotto sono quelli di Un mucchio di
giorni così), che non infarcisce le storie di colori e aggettivi alla maniera
sudamericana, che non frequenta i territori del minimalismo estremo o del
postmodernismo spinto (per non dire del meta-letterario così di moda) di certa
narrativa statunitense e che,
soprattutto, è immune dal narcisismo di tanti librivendoli italiani (di quelli,
per intenderci, che ammiccano compiaciuti dalle quarte di copertina).
Calvisi è un
artigiano, uno che costruisce storie per passione, senza seguire modelli
stereotipati, senza la ricerca dei colpi a effetto o del lieto fine per forza,
e Adieu mon coeur è una di queste
storie. La storia di Paolo: bambino, adolescente e poi musicista di successo,
eppure mai felice, mai realizzato veramente. La storia di una famiglia che va
in frantumi, di amicizie che cambiano nel corso degli anni, di un amore (quello
per Michela) vagheggiato, svanito, rincorso, sfiorato e poi perso
definitivamente. Una storia che si dipana sul filo della nostalgia, con il
rischio di cadere nei luoghi comuni che è sempre dietro l’angolo e che l’autore
riesce a scansare mantenendosi nel territorio di una narrazione onesta,
evitando facili strizzate d’occhio al lettore.
Adieu mon coeur è un romanzo che ci parla della
vita, di come vorremmo che andassero le cose e di come vanno nella realtà, di
quello che riusciamo a raggiungere e di quello che invece ci sfugge, di quello
che aspiriamo ad essere e di quello che siamo, di quello che passa e non può
tornare. Ci parla, soprattutto, di amore, di quello vero, che quando arriva è
peggio di un terremoto che finisce per stravolgerci l’esistenza senza neppure
chiedere permesso, di quell’amore che è come una condanna, che ci sceglie e non
si fa scegliere e che non ha bisogno di realizzarsi per continuare a vivere.
“La parola chiave è armonia”, scrive ad un certo punto Calvisi. Già,
armonia intesa però non come conquista ma come una meta che rimane sempre un
po’ più in là, aspirazione, obiettivo da perseguire anche sapendo che non lo si
raggiungerà mai. Proprio come l’amore di Paolo per Michela.
1 commento:
Ringraziando mi inchino.
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