sabato 26 marzo 2016

Saul Bellow – Herzog


Sono contento di essere, di essere proprio come si vuole che sia, e per tutto il tempo che potrò restarne l'inquilino.”

Semplicemente uno dei capolavori del Novecento.
La storia di Moses Herzog,  professore universitario che colto dal secondo divorzio proprio mentre si trova nel mezzo del cammin di nostra vita, vede andare in frantumi gli equilibri sui quali credeva fosse basata la sua esistenza e si trova a riflettere su cosa è successo e perché. Herzog è simile a un naufrago che si risveglia su un’isola sperduta e vaga spaesato sulla spiaggia, alla ricerca di oggetti, frammenti e ricordi che possano aiutarlo a ricostruire quello che è successo e a pianificare un futuro che appare quanto mai incerto. Noi siamo quel naufrago, noi siamo Herzog, e il fatto che dalla pubblicazione di questo libro siano trascorsi cinquant’anni non sembra aver diradato le nebbie nelle quali ci dibattiamo, ma sembra anzi aver ingarbugliato ancor di più la matassa, conferendo – se possibile – più forza e attualità all’opera di Bellow.
Molto interessante (dostoevskijano, quasi) è l’approfondimento psicologico della figura del protagonista, che l’autore tratteggia non mancando di sottolinearne anche le contraddizioni:
“Che tipo era? Be', per dirla con una definizione moderna, era un narcisista; un masochista; e anacronistico. Il suo era il quadro clinico del depressivo - non grave.”
Herzog si definisce un invidioso, un uomo non eccessivamente competitivo, generoso e un po’ immaturo, ambizioso ma cosciente di avere poco senso pratico (e, con buona pace di quanto afferma Bellow, per niente anacronistico). Il nostro eroe (o anti-eroe) è un soldato che va alla guerra consapevole che l’armamentario di cui dispone e le istruzioni che ha ricevuto sono del tutto inadeguati, eppure non può sottrarsi al combattimento.
L’obiettivo che Herzog/Bellow/l’intellettuale moderno  si pone è decisamente alto:
“dare una nuova visione della condizione dell'uomo moderno, dimostrare come la vita possa essere vissuta rinnovando continuamente il sistema di rapporti universale; abbattere l'ultimo degli errori dei romantici sull'unicità dell'Io; correggere la vecchia ideologia faustiana dell'Occidente e indagare sul significato sociale del Nulla.”
Per esplicitarlo l’autore sviluppa un “romanzo di idee”: il rischio dietro l’angolo è quello del patchwork, dell’inserimento cioè nella narrazione di una serie di riflessioni sugli argomenti più disparati che rischiano di compromettere la coesione dell’opera. La struttura epistolare è l’espediente escogitato da Bellow per superare brillantemente il problema.
Cosa rappresentano le lettere che il protagonista scrive e poi non spedisce a personaggi di ogni genere ed epoca a proposito di filosofia, psicologia, matrimonio, politica, etica, costume… a proposito della vita? Sicuramente un modo di affermare delle tesi, di esporre un punto di vista. Perché non vengono spedite? Probabilmente perché sono cose che Herzog ha bisogno di dire a se stesso: è lui il destinatario di queste missive, è lui quello che deve convincersi di quanto afferma. Le lettere di Herzog rappresentano un bisogno di fare ordine, di chiarirsi almeno in parte le idee, e nel momento in cui le scrive acquistano verità.
È anche grazie alle lettere che Herzog riuscirà faticosamente a costruirsi  una specie di equilibrio, un ordine parziale, personale e probabilmente anche provvisorio,  ma pur sempre un ordine, che consiste in una sostanziale constatazione e accettazione dell’ambiguità del mondo, una stabilità forse apparente ma che gli permetterà di guardare alle cose con maggiore indulgenza:

“In tutti i modi, posso pretendere di avere una gran scelta? Mi guardo e vedo torace, cosce, piedi - una testa. Questa strana organizzazione, io lo so che morirà. E dentro - qualche cosa, qualche cosa, felicità... «Tu mi muovi.» Che scelta ti lascia? Nessuna. Qualcosa produce l'intensità, un sentimento sacro, così come gli aranci producono l'arancione, l'erba il verde, gli uccelli calore. Certi cuori sgorgano più amore, altri, pare, di meno. Significa qualche cosa? Ci sono quelli che dicono che questo prodotto dei cuori è conoscenza. «Je sens mon coeur et je connais les hommes.» Ma la sua mente si distaccò ora anche dal suo francese. Non lo potrei dire, con sicurezza. Il mio viso troppo cieco, la mia mente troppo limitata, i miei istinti troppo ristretti. Ma questa intensità, non significa niente? È una gioia idiota che fa esclamare questo animale, l'animale più singolare di tutti, che gli fa esclamare qualche cosa? E lui crede questa reazione un segno, una prova, dell'eternità? E ce l'ha in petto? Ma non ho argomenti da contribuire a questo proposito. «Tu mi muovi.» «Ma che cosa vuoi, Herzog?» «Ma è proprio questo il punto - un bel niente. Sono contento di essere, di essere proprio come si vuole che sia, e per tutto il tempo che potrò restarne l'inquilino.”

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