sabato 14 maggio 2016

Kent Haruf – Benedizione

La malattia e la morte di un anziano nella cittadina (immaginaria) di Holt, vicino Denver. Una storia minima che si allarga pian piano come i cerchi di un sasso gettato in uno stagno: la famiglia, i vicini, i parenti dei vicini. Storie di solitudini, di occasioni perse, di rapporti umani difficili, di caratteri chiusi, di vicende del passato che tornano a galla.
C’è la superficie, costituita da una comunità che si aiuta e collabora nelle piccole cose del quotidiano, e un sommerso, fatto da quello che è successo o che avrebbe potuto succedere, episodi che hanno segnato la vita dei personaggi, ferite che continuano a far male e che hanno reso le persone più dure o più fragili, comunque diverse da prima.
Uomini e, soprattutto, donne, ai quali manca qualcosa: si sono accontentati, o avrebbero voluto farlo. Persone che sembrano aver perso l’occasione, il momento giusto per la felicità. Già, la felicità, che ora identificano con la normalità, una normalità che non hanno mai avuto o che hanno perso e sentono di non poter più raggiungere.

Il limite di Benedizione, a mio avviso, è nell’architettura un po’ troppo “rigida” del romanzo: i brevi capitoli sono concepiti quasi come un racconto a sé (per certi versi come in Winesburg, Ohio) e costruiti ognuno attorno ad un personaggio del quale viene esposto, con prosa scarna ed essenziale, un episodio della vita attraverso un’alternanza di dialoghi, descrizioni d’ambiente e riflessioni che si ripetono forse un po’ troppo schematicamente.

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