“Cominciano sempre così, in un primo momento, le parole...” mi dicevo andando verso la chiesa “quando una è partita non si ferma più. L’aria acquista una certa quantità di moto, non può fare altro che continuare ad andare, ad avanzare, anche quando ormai la sua forza motrice non agisce più. Attira a sé altre parole, altri suoni che non può non incontrare sulla sua strada, altri ancora ne comincia a suscitare, e questi a loro volta ne suscitano altri e altri ancora... si espande sempre di più, solleva cartacce, ramazza dappertutto onde sonore, ingloba piccoli e grandi trasferimenti d’energia, spostandosi da un punto all’altro dello spazio, interi fronti vocali cominciano a scollarsi, non si capisce neanche più se è trascinante oppure trascinata, le sue pareti dilagano irresistibilmente, formano in un istante le necessarie connessioni, mentre la sua forza centrifuga aumenta ancora di più, smotta su altri piani che a loro volta smottano, le sue superfici cominciano a scottare, attira a sé colonie sonore sterminate, si raccoglie a valanga su se stessa, rotola sempre più irradiata e irradiante, sradica, strappa, e alla fine non può che assumere poco per volta l’inconfondibile aspetto di una grande sfera di fuoco che rovina...”
Sentivo le
parole andare e venire rallentate eppure tutte attaccate. “Come fare a
staccarle?” pensavo confusamente nel dormiveglia. “Ed è poi veramente possibile
staccarle? Precedendo di molto la parola già pronunciata, forse, la prima
parola mai pronunciata, oppure trattenendo così a lungo quella ancora da
pronunciare che tutte le altre non possano che staccarsi e sgranarsi per forza
nella loro corsa...”
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