giovedì 2 giugno 2016

Politically incorrect: Gadda

Una giuliva bischeraggine animava le facce di tutti; […] E tutti speravano, speravano, giulivi. Ed erano pieni di fiducia. Oppure, autorevoli, tacevano. […] incartonati nell’arnese d’amido dello smoking quasi nel cerotto e nel turgore supremo della certezza e della realtà biologica.
[…] venivano giù come un olio al loro imbandierato varo, varati finalmente nel sciocchezzaio con tutti gli onori e i carismi: carene insevate da stupidità. Più insulsi erano, e più felice e liscio gli andava sottoculo lo scivolo, […] Tutti avevano la loro vita, la loro donna: e si erano lasciati varare: ed erano in condizione di essere presi, sul serio. […] Ognuno credeva, realmente, di essere una cosa seria. […] Tutti erano presi sul serio: e si avevano in grande considerazione gli uni gli altri.
Gli attavolati si sentivano sodali nella eletta situazione delle poppe, nella usucapzione d’un molleggio adeguato all’importanza del loro deretano, nella dignità del comando. Gli uni si compiacevano della presenza degli altri, desiderata platea. E a nessuno veniva fatto di pensare, sogguardando il vicino, «quanto è fesso!».
Tutti, tutti: e più che mai quei signori attavolati. Tutti erano consideratissimi! A nessuno, mai, era mai venuto in mente di sospettare che potessero anche essere dei bischeri, putacaso, dei bambini di tre anni. Nemmeno essi stessi, che pure conoscevano a fondo tutto quanto li riguardava, le proprie unghie incarnite, e le verruche, i nèi, i calli, un per uno, le varici, i foruncoli, i baffi solitari: neppure essi, no, no, avrebbero fatto di se medesimi un simile giudizio. E quella era la vita.
[…] Così rimanevano. A guardare. Chi? Che cosa? Le donne? Ma neanche. Forse a rimirare se stessi nello specchio delle pupille altrui. In piena valorizzazione dei loro polsini, e dei loro gemelli da polso. E della loro faccia di manichini ossibuchivori.
[…] Nessuno conobbe il lento pallore della negazione. […] Le figurazioni non valide erano da negare e da respingere, come specie falsa di denaro. […] Cogliere il bacio bugiardo della Parvenza, coricarsi con lei sullo strame, respirare il suo fiato, bevere giù dentro l’anima il suo rutto e il suo lezzo di meretrice. O invece attuffarla nella rancura e nello spregio come in una pozza di scrementi, negare, negare: chi sia Signore e Principe nel giardino della propria anima. Chiuse torri si levano contro il vento. Ma l’andare nella rancura è sterile passo, negare vane immagini, le più volte, significa negare se medesimo. Rivendicare la facoltà santa del giudizio, a certi momenti, è lacerare la possibilità: come si lacera un foglio inturpato leggendovi scrittura di bugìe.

[…] Lo hidalgo era nella sala, […] La sua secreta perplessità e l’orgoglio secreto affioravano dentro la trama degli atti in una negazione di parvenze non valide. Le figurazioni non valide erano da negare e da respingere, come specie falsa di denaro. […] Lo hidalgo, forse, era a negare se stesso: rivendicando a sé le ragioni del dolore, la conoscenza e la verità del dolore, nulla rimaneva alla possibilità. Tutto andava esaurito dalla rapina del dolore. Lo scherno solo dei disegni e delle parvenze era salvo, quasi maschera tragica sulla metope del teatro.

[…] Pur incombendoci di dare il più severo giudizio circa l’aberrante violenza de aquel perdido, tenemos todavía que abrir el ánimo al residuo de una duda; y este sobrante caritativo es en el concepto y quizás en la inquietud de que un mal tan profundo tuviese en alguna parte su origen, aún recóndito y obscuro: che vi fosse una ragione o una causa, o più ragioni o più cause, forse, ignote agli umani, irreparabili, perché l’animo dello hidalgo andasse così privo di ogni gioia.

[Carlo Emilio Gadda: "La cognizione del dolore"]

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