Trans-Atlantico
è un libro originale, contraddittorio e provocatorio. Almeno quanto il suo
autore.
Solo un provocatore come Gombrowicz poteva pensare di
scrivere nel dopoguerra un libro che mettesse alla berlina la Polonia e i
polacchi, per di più dopo essere praticamente scappato da quella guerra, e
ancora di più facendolo passare per un libro che doveva fungere da pungolo, per
stimolare la Polonia e i polacchi ad uscire da quegli stereotipi dei quali
erano vittime più o meno volontarie!
Eppure, se proviamo a seguire l'autore e a passare
dalla storia alla fantasia, dalla realtà alla letteratura, ecco che le cose
cambiano. Nella retta ideale che collega i tre grandi romanzi di Gombrowicz, Trans-Atlantico
si colloca dopo Ferdydurke e prima di Pornografia e di Cosmo. Rispetto
al primo risulta in continuità per quanto riguarda lo stile parodistico e la
lingua, che a tratti sembra un abito troppo stretto che fatica a contenere
l'irruenza dell'autore e che finisce per frantumarsi in neologismi e
costruzioni ardite, pile di parole che nello sforzo di arrampicarsi verso il
concetto che vogliono rappresentare finiscono per crollare miseramente a terra.
Degli altri due invece, Trans-Atlantico anticipa parecchie e importanti
tematiche, basti pensare al dualismo Vecchio/Giovane che deflagrerà poi in Pornografia
e all'impossibilità di individuare una realtà condivisa che sarà alla base di Cosmo.
Probabile che al successo di Trans-Atlantico abbiano nuociuto le
polemiche su Gombrowicz come anti-polacco, peccato perché si tratta di un libro
meritevole, che offre più di uno spunto di riflessione. Già il tema al centro
del romanzo, il figlio conteso tra un padre apprensivo e un pederasta
innamorato, con il diritto del ragazzo di affrancarsi dal giogo del primo e il
rischio di finire tra le grinfie del secondo,
sarebbe argomento da tragedia greca che l'autore decide invece di
risolvere in farsa, come se le scelte di vita fossero alla fine poco
importanti. Ma ci sono anche sono mille
altri aspetti che catturano l'attenzione nella lettura di questo
romanzo: c'è (secondo me) la metafora della Polonia stessa, divisa tra nazismo
e stalinismo e che come il ragazzo è preda contesa da entrambi, c'è il Vuoto
(esistenziale?) che ricorre di frequente tra le pagine, e accanto ad esso il
“camminare” del protagonista (Gombrowicz stesso), un camminare senza senso, una
ricerca del significato nell'azione (quell'azione che ritornerà in Cosmo),
c'è (addirittura) una trama che a tratti sembra ripercorrere, mutatis mutandis,
la passione di Cristo. C'è, soprattutto, l'assurdo, una presenza soverchiante
che incombe su tutto, rendendo vano ogni comportamento: assurde sono le
conversazioni tra i personaggi, assurdi i loro comportamenti, i loro tentativi
di soverchiarsi l'un l'altro, le sofferenze che si infliggono.
Perché la realtà per Gombrowicz non esiste, è una
specie di prisma attraverso il quale ognuno vede il (suo) mondo, e il nostro
affannarci per cercare di dare unità, per creare una visione condivisa e
condivisibile è simile al tentativo del
bambino di costruire un argine di sabbia sulla riva. È solo questione di tempo,
perché prima o poi l'onda del mare spazzerà via il frutto di tanto
impegno, eppure noi siamo destinati a
non capire la lezione e a rimetterci all'opera con paletta e secchiello e immutato impegno, per ricostruire in piedi
una nuova diga destinata anch'essa a crollare sotto i colpi del mare, come
quella che l'ha preceduta e come quelle che la seguiranno. Dietro di noi,
seduto su una sdraio sotto un ombrellone, ci sarà il vecchio Gombrowicz, impegnato
a guardarci di nascosto da dietro il giornale compatendo con un sorriso
l'inutilità dei nostri sforzi.
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