Ho trovato il libro
che chiude la trilogia di Abbacinante
a un livello qualitativamente leggermente inferiore rispetto ai due volumi che
lo precedono. D’altra parte, se ne L’ala
sinistra e – soprattutto – ne Il
corpo, Cărtărescu aveva potuto spingere la fantasia in tutte le direzioni
senza preoccuparsi troppo del fatto che la trama risultasse diluita in mille
rivoli, ne L’ala destra è chiamato a
percorrere una strada obbligata: andare cioè a chiudere tutte le parentesi rimaste
aperte nei volumi precedenti e a riprendere i mille fili del discorso per
ricondurli a una conclusione unitaria. Compito non da poco, che Cărtărescu
riesce comunque a portare a termine senza forzature evidenti.
Detto questo, è
giusto aggiungere che Abbacinante rappresenta
un unicum nel panorama della letteratura mondiale contemporanea e che con L’ala destra l’autore aggiunge un altro
tassello alla sua costruzione fantastica, costruzione che – al solito – tende a
sfuggire all’analisi perché risulta sempre in movimento, espandendosi in tutte
le direzioni: verso l’alto come verso il basso, in profondità come nello spazio
e anche nel tempo. Cărtărescu prende le rette lungo le quali scorrono queste
dimensioni e letteralmente le curva, portandole fuori strada, verso un altrove
sconosciuto, aggiungendo cioè dimensioni all’universo (Si potrebbero vedere in successione mondi che si sviluppano e muoiono
e, così come è possibile guardare nel forziere disegnato su carta di un mondo a
due dimensioni, mentre le creature di quel mondo fissano il loro sguardo sulle
loro pareti fatte di una sola linea, dalla fine illimitata del mondo con una
dimensione in più possiamo guardare (e penetrare) in case inchiavardate, in
crani, in vagine, nella struttura raffinata dello spazio di Planck. Leggeremmo
tutti i pensieri e non ci resterebbe nulla segreto. Saremmo allo stesso tempo
fra i discepoli istupiditi, moriremmo a un tratto dentro prigioni rinserrate
con spranghe e grosse catene).
Cărtărescu è simile
al falco che osserva dall’alto il mondo sotto di lui: a volte vola altissimo
oltre le nuvole, rendendosi invisibile al nostro occhio, a volte plana in
picchiata velocissimo, verso un punto infinitesimale là in fondo,
raggiungendolo in un attimo per poi, sorprendentemente, penetrare al suo
interno, passando dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo in un
attimo, lasciando il lettore con un misto di vertigine e appagamento che è la
cifra di questa prosa.
Non si può
usare altro termine che vertigine per una storia che a differenza di tutte quelle
nelle quali mi è capitato di imbattermi nel corso delle mie letture, risulta “viva”,
clamorosamente viva. Non appena le parole si posano sul foglio, ecco che
iniziano a muoversi, a stabilire connessioni nuove, evidenti o sotterranee,
diventando altro da sé; che senso ha, allora, cercare di dare un’interpretazione
univoca a un’opera come questa? Inutile, impossibile. Molto meglio lasciar
perdere e seguire Mircea lungo le pagine, lasciandoci portare dal suo vaneggiamento
come fossimo viaggiatori su un treno che attraversa paesaggi sconosciuti e
meravigliosi: mettiamo da parte le domande, non chiediamo dove siamo e dove
stiamo andando, ma guardiamo fuori dal finestrino e lasciamoci travolgere da
tanta bellezza, sapendo che quello che stiamo osservando è diverso per ognuno
di noi, perché ognuno di noi vede con la sua sensibilità, con la sua fantasia,
perché in realtà stiamo sognando.
Abbacinante è il viaggio di un visionario verso la
Bellezza assoluta, una cavalcata folle e solitaria alla ricerca di una porta
che ci permetta di uscire dalla vita a due dimensioni, una porta che permetta
di dare realtà ai nostri sogni.
Abbacinante è un viaggio impossibile e Cărtărescu
un epigono di Prometeo o di Icaro, un visionario che pur sapendo di essere
destinato al fallimento non può fare a meno di sforzarsi di trascendere questa
realtà: volando alto, volando oltre, volando verso un mondo di sogno nel quale gli opposti andranno ad armonizzarsi e a
costituire la forma perfetta, dalla quale ripartire poi verso uno stato
successivo.
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