domenica 25 settembre 2016

Tarjei Vesaas – Gli uccelli

Mattis, il protagonista del libro, è l’idiota, lo scemo del villaggio, quello diverso dagli altri ma anche quello dotato di una sensibilità particolare che lo rende da subito simpatico al lettore. Il tema di per sé è abbastanza frequentato nella narrativa di ogni epoca e per questo rischioso da affrontare, perché porge il fianco al rischio di scivolare sulla classica buccia di banana del luogo comune, finendo per scrivere cose scontate contrabbandandole per chissà quali novità. Vesaas a mio avviso non cade nel tranello e riesce a sviluppare un buon romanzo intorno alla figura dell’idiota facendo leva su semplicità e onestà, due qualità che sembrano cadute nel dimenticatoio, concetti ormai passati di moda.
Semplice è la scrittura de “Gli uccelli”, un discorso indiretto libero che supporta una narrazione lineare, scorrevole e senza fronzoli. Scrittura semplice e onesta, perché l’autore racconta le cose per come le vede e le pensa, senza ammiccamenti al lettore, senza dire una cosa per suggerirne un’altra.
L’idiota - si diceva - è Mattis,  che abita con la sorella in una casa ai limiti del villaggio. Ai margini, come ai margini è la sua vita. È affascinato dalla triade Bellezza-Forza-Intelligenza che vede dominare intorno a sé e sapendo di essere sprovvisto di tutte queste qualità che sembrano essere fondamentali per farsi strada nel mondo, lui sogna, immagina una realtà nella quale poter essere protagonista. Mattis non comunica secondo gli schemi dell’altra gente, lui ha altre priorità. Loro camminano, sudano, faticano per arrivare alla fine della giornata. Lui invece vola. Passa sopra a tutto, vive una vita fatta di intuizioni, di associazioni di idee, di pensieri che appaiono improvvisamente alla sua mente e la attraversano con la velocità del fulmine, pensieri dei quali lui non capisce il senso. Mattis vive di emozioni e sensazioni. Per lui non esistono confini, lui parla con gli uccelli. E gli uccelli gli rispondono. Mattis vede e sente quello che gli altri, crescendo, hanno deciso che non si dovesse più vedere e sentire, è come se lui avesse sviluppato la parte sbagliata (sbagliata?) lasciando indietro quella giusta (giusta?). Come i bambini, non comprende il significato di un ragionamento ma capta le vibrazioni che trasmette chi gli parla, l’emotività dell’interlocutore, finendo per essere una specie di “principe degli interstizi”, visto che per lui le pause sono più importanti dei discorsi e decodifica meglio il non detto di quello che viene dichiarato. Per tutto ciò Mattis è condannato al ruolo di “diverso”, perché gli altri hanno paura della sua purezza, della sua bontà e della sua fragilità, come se queste fossero qualità che possono essere accettate solo nei bambini, perché portandole nel mondo adulto potrebbero rivelarsi armi in grado di minarne le certezze.
Anche se non è in grado di comprenderlo, Mattis sente di essere un peso per la sorella e consapevole di non avere la capacità di prendere una decisione su quello che deve fare, deciderà di affidarsi al vento, all’acqua, a quelle forze con le quali intrattiene una comunicazione particolare. Nonostante finga di non saperlo, è consapevole del destino che lo attende: la morte della beccaccia e il pino abbattuto dal fulmine erano stati segnali che aveva già interpretato, eppure sente che questa è l’unica strada che può percorrere, perché lui appartiene al mondo della Natura più che a quello degli Uomini.

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