A caccia di farfalle con il retino bucato
Un libro coraggioso. Un monologo in forma di
lettera nel quale Lispector sceglie la strada rischiosa del flusso di coscienza
camminando sul ciglio dell’illeggibilità: poca trama, pensieri espressi in
frasi brevi e a volte disordinate, ad indicarne la frammentarietà.
Parafrasando l’epigrafe, una citazione di Seuphor
relativa alla pittura, si può dire che scopo del libro è indagare i misteri
della parola, di una scrittura “totalmente
libera dalla dipendenza della figura – l’oggetto –, che, come la musica, non
illustra nessuna cosa, non racconta una storia e non inaugura un mito.” […]
“si accontenta di evocare i regni
incomunicabili dello spirito, dove il sogno diventa pensiero, dove il tratto
diventa esistenza.”
Se non bastasse, Lispector chiarisce sin dalle
prime pagine che quella che attende il lettore è una lettura “estrema”: “sto provando a cogliere la quarta dimensione
dell’istante-adesso che da quanto è fuggevole già non è più perché si è appena
trasformato in un nuovo istante-adesso che neppure lui è più. Ogni cosa ha un
istante in cui è. Voglio impossessarmi dell’è della cosa. Quegli istanti che
passano nell’aria che respiro: fuochi d’artificio che esplodono muti nello
spazio.” Come a dire: astenersi amanti dell’intreccio, cultori della bella
trama, appassionati della logica, qui siamo in un altro campo dove si rincorrono
idee che non sappiamo dove ci porteranno, qui si va a caccia di farfalle con il
retino bucato.
Il cogliere l’istante di cui parla l’autrice non è
tanto rivolto al carpe diem, quanto
ad indagare le potenzialità della parola, il suo potere evocativo. Non
interessa il significato della frase ma il sommerso, quello che essa è in grado
di suscitare.
L’istante è irripetibile e può essere solo vissuto
o mostrato, non spiegato. L’istante e soprattutto il suo fluire, quel momento
magico che segna un passaggio tra un prima e un dopo, quell’attimo fantastico
sospeso in volo tra due certezze, una vibrazione, un momento in cui si avverte
come un brivido il pulsare della natura.
Acqua viva è un
esercizio di equilibrismo, un camminare in bilico sull’orlo del precipizio: da
una parte c’è la realtà, con la sua logica rassicurante, dall’altra la fantasia
con il fascino delle regole sovvertite. Indagare le potenzialità della parola,
si è detto, rinunciare all’ordine, alla verità, per addentrarsi in un territorio
sconosciuto, dove non esistono vincoli. Ogni parola diventa allora un passo
nell’ignoto, padrona di se stessa, libera di creare, viaggio verso territori
nuovi ma anche all’interno di se stessi.
Acqua viva è parola
che si fa pittura e anche musica, per il potere evocativo che Lispector le
conferisce nell’aspirazione a penetrare la natura delle cose, a riunire in un
unicum armonia e disarmonia, sogno e realtà, immanente e transitorio, desiderio
certo irrealizzabile ma che l’Arte non può fare a meno di inseguire.
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