Gli scrittori: ci sono i modernisti, i minimalisti, i
realisti, i postmodernisti… e poi c’è Hrabal. Lui è uno scrittore a parte.
I libri di Hrabal: Una solitudine troppo rumorosa, Treni
strettamente sorvegliati, Ho servito il re d’Inghilterra… e poi c’è Lezioni di ballo per anziani e progrediti,
un libro a parte di uno scrittore a parte.
Uno stralunato monologo senza
fiato e senza punti, un collage che mette insieme la trascrizione dei ricordi alcolici
dello zio dell’autore (i Protocolli)
con frammenti provenienti da un altro testo (I dolori del vecchio Werther) e altre storie ancora. Collage
successivamente riveduto e corretto e dal quale sono state espunte diverse
parti, tra le quali proprio quella che da il titolo al libro. Solo questo
basterebbe a spiegare la bizzarria dell’opera.
Non un flusso di coscienza alla
Joyce, come si potrebbe pensare, ma il tentativo di mettere su carta il parlato
della gente comune, quel misto di banalità, opinioni, sbruffonerie e strafalcioni
che costituiscono l’essenza della chiacchiera da bar o da strada. A questo
proposito potremmo arrischiare un paragone, tanto ardito quanto irriverente,
tra il lavoro di Michelangelo nello scolpire i Prigioni e quello di Hrabal nelle Lezioni di ballo: il primo procede per sottrazione, toglie marmo
per liberare, per arrivare a realizzare la sua idea, lo scrittore ceco invece
compie il percorso inverso procedendo per accumulazione, aggiungendo cioè personaggi
e voci al coro fino a stordire il lettore.
La storia prende le mosse dal
protagonista che va a sbirciare nel giardino di un vicino dove “certe belle
sventolone” sono intente a prendere il sole in costume da bagno, sventolone
alle grazie delle quali non sembra immune neppure il curato del posto. Episodio
minimo, ma pretesto per stappare la bottiglia dei ricordi e dei pensieri che
saltano fuori con l’effervescenza di una schiuma troppo a lungo costretta al
chiuso. Il protagonista, si diceva, è un settantenne, ex-calzolaio,
ex-maltatore, ex soldato “dell’esercito più bello del mondo”, un tipo tronfio e
dall’ego strabordante, un “adoratore del rinascimento europeo” che racconta le
sue gesta con l’intento di mostrare come sia risultato “il vincitore” in ognuna
delle sue imprese.
L’Austria Felix è la sua Arcadia,
il mondo perduto al confronto del quale il presente è un piano inclinato verso
una decadenza irreversibile; il punto di vista è quello della gente comune, che
sogna in grande ma poi guarda alle piccole cose. Nei tempi attuali “gli ideali
prendono a vacillare”, dice il protagonista, ma il fatto è che si tratta di
ideali quanto meno discutibili…
I passaggi della narrazione sono
legati tra loro da fili logici sottilissimi: a volte per analogia, a volte per
contrasto, altre per semplice associazione d’idee. Difficile orientarsi in
mezzo a una trama del genere, tra episodi surreali (come quelli dell’uomo con
la mano di ferro e del raddrizzatore di nasi) e citazioni da libri immaginari
come quello dei sogni di Anna Novakovna e quello del signor Batista sull’igiene
sessuale. L’autore non risparmia nessuno e anche Cristo, Edison, i poeti Bondy
e Havlíček finiscono trasformati in personaggi ordinari, che bevono e si
comportano proprio come tutti gli altri.
In questo libro Hrabal diverte e
si diverte, al punto che al lettore disorientato e frustrato nella sua ricerca
di sottotesti e chiavi interpretative più o meno nascoste, non resterà altro
che alzare bandiera bianca. Non è questa, a mio avviso, la strada per
avvicinarsi a Lezioni di ballo. Provate
invece ad accomodarvi in poltrona, magari in compagnia di un bel boccale di
birra, e lasciatevi affascinare dal flusso affabulatorio del grande scrittore,
dalle storielle di sbronze, risse, pisciate e sventolone che agitano le pagine di questo libro e che spesso
si concludono con morali improbabili. Vi assicuro che ne varrà la pena.
Nessun commento:
Posta un commento