L’unica cosa che posso dire di me
stessa è che mi lascio vivere, scorro attraverso un luogo nello spazio e nel
tempo e sono la somma delle proprietà di questo luogo e di questo tempo, niente
di più.
Si, si può fare buona letteratura
senza squilli di tromba o trovate sensazionalistiche e questo libro ne è la
limpida dimostrazione. Con Casa di
giorno, casa di notte, Olga Tokarczuk confeziona un ottimo piatto fatto con
ingredienti poveri. Poveri ma genuini, veri, non sofisticati.
L’autrice ci porta a spasso per le
strade di Nowa Ruda, una cittadina al confine tra Polonia, Germania e
Repubblica Ceca e ci presenta le storie sgangherate di un’umanità variegata,
composta da personaggi di paese, uomini e donne che sembrano trascinare a
spasso le loro esistenze senza vedere oltre il proprio naso. Attenzione però a
non trarre conclusioni affrettate, perché questa è solo l’apparenza. Come avverte
la voce narrante all’inizio del libro: “l’immobilità di quanto vedo è
apparente. Basta che lo voglia e posso penetrare l’apparenza”.
Pensieri, parole ed opere di una
piccola comunità persa nella campagna polacca dunque, per un progetto narrativo
che, mutatis mutandis, sembra avere parecchie analogie con quello di Jón Kalman
Stefánsson: scrivere per non dimenticare, raccontare per continuare a far
vivere un mondo che altrimenti sarebbe destinato all’oblio (che poi è la
conclusione alla quale giunge anche Paschalis, l’incaricato di scrivere la vita
della santa: “lo scopo della sua opera era conciliare tutti i tempi possibili,
tutti i luoghi e i paesaggi in un’unica immagine, che sarebbe stata immobile e
non sarebbe mai invecchiata né cambiata”).
Impossibile dar conto dei mille
personaggi che incontreremo lungo il corso di questo viaggio stralunato: c’è
Marta, la vecchia fabbricante di parrucche, convinta che i capelli crescendo
assorbano i pensieri degli uomini, che parla solo degli altri e mai di se
stessa e che immagina gli animali che Dio si è dimenticato di inventare. C’è
Tal dei Tali, che “raccontava l’inverno” e che riusciva a vedere gli spiriti e
c’è Marek Marek, un tipo la cui “sofferenza non veniva dall’esterno ma
dall’interno” e che “nasceva per la stessa ragione per cui la mattina sorgeva
il sole e la notte le stelle”, un’anima in pena che a causa del dolore che
portava dentro di sé “non poteva portare a conclusione nessun pensiero, doveva
cancellarli e scacciarli, così che smettessero di significare qualcosa”. Ci
sono, intrecciate, la storie di Kummernis di Schonau, la santa barbuta e quella
di Paschalis, che ne scrisse la biografia. Seguendo la voce narrante capiterà
di imbatterci in ricette culinarie a base di funghi velenosi e turisti tedeschi
che fotografano spazi vuoti e tra questi turisti Peter Dieter, venuto per
rivedere il villaggio nel quale aveva vissuto e destinato a morire proprio
sulla metà del confine. Incontreremo Agnieszka con le sue profezie e Franz
Frost che vive di certezze, convinto che tutto ciò che è stato e che sarà
esiste già ma che sarà messo in crisi dalla scoperta di un nuovo pianeta, al
punto da diventare pazzo. Se riusciremo ad entrare in sintonia con la trama,
non ci stupiranno certo la comparsa di un mostro nello stagno e neppure le profezie
di Lew il veggente. Sarà bello lasciarsi affascinare dalle storie dell’uomo di
seconda mano (convinto di essere la copia di qualcun altro), da quelle di Ergo
Sum (anche nella sua seconda vita come Bronek), dei Von Goetzen e dei
Coltellinai, senza trascurare quelle dell’uomo con la sega, di Gertrude Nietsche,
di Lui e Lei e anche quella del misterioso R….
Insomma: storie, tante storie cui star dietro, tante vite da rincorrere con
il rischio di perdere l’orientamento. Sarebbe un peccato però, perché questo
libro ha un’architettura che poggia su architravi solide: una sono i sogni,
quei sogni che ricorrono costantemente e che secondo la voce narrante
costituirebbero la parte più vera della vita, l’unica davvero autentica mentre
la nostra realtà di esseri umani sarebbe una specie di stato di sospensione dal
nostro vero ruolo. L’altro pilastro è la ricerca di un punto di equilibrio
perfetto, aspirazione che sembra rintracciabile all’interno di molti degli
episodi narrati, una specie di armonia superiore, uno stato quasi di
immobilità, fuori dal tempo e dalle passioni, un distacco quasi atarassico
dalle cose del mondo.
Casa
di giorno, casa di notte è un libro che
consiglio, soprattutto a quei lettori che non si sono ancora stancati di
cercare storie curiose.
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