Leggere Tom McCarthy è come
stendere un tappeto prezioso e poi provare ad interpretarlo, sforzandosi di
individuare i collegamenti tra le parti e il significato dei simboli; provando
ad entrare nella costruzione, indugiando alla ricerca di nessi, di certezze
alle quali ancorarci per procedere verso un livello più profondo.
Uomini
nello spazio è la storia di un
gruppo di anime alla deriva nell'Europa di fine millennio. Sullo sfondo di un'atmosfera
bohèmienne, trafficanti bulgari e altri strani personaggi incrociano le loro
vite a Praga nei giorni in cui la Cecoslovacchia sta per dividersi in due
stati, in un momento storico in cui il mondo sembra privo di un centro, quasi
destinato ad espandersi in ogni direzione.
La trama è ricca e contorta, ma in
realtà è poco più di un pretesto per tessere una rete nella quale sono
identificabili idee caratteristiche dei romanzi di McCarthy: l'importanza dei
simboli (in questo caso l'ellisse) e poi riflessioni sulla comunicazione e
sulla trasmissione, lo spazio, la copia e il suo rapporto con l'originale ma
soprattutto la ricerca del senso più profondo delle cose. In questo caso
centrale è un'antica icona e il tentativo di decrittare il significato delle
tre parole che vi sono incise. Capire per accedere a uno stadio nascosto che ci
apra le porte per una comprensione più "completa" delle cose si
rivela (e sempre si rivelerà) un'illusione e il mistero che occhieggia nel buio
un sistema di scatole cinesi che attirandoci verso di sé finisce per
allontanarci dal vero.
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