sabato 17 novembre 2018

Wolfgang Hildesheimer – Tynset



Strano destino, quello di Tynset. Hildesheimer teorizza la fine della letteratura e per dimostrarlo scrive questo libro che in realtà si rivela un gran romanzo (se possiamo definirlo tale, perché sulla classificazione di quest'opera lo stesso autore sembra nutrire dei dubbi).
Tynset è un lungo monologo, che a tratti rimanda a Bernhardt  a tratti a Sebald. Pensieri in libertà di un uomo che vive tra il letto e la stanza, quasi paralizzato in un'immobilità beckettiana, presente e assente al tempo stesso. Un solitario che vive con l'unica compagnia di Celestine, la domestica che sembra uscita dalle pagine di un romanzo di Dostoevskij, una donna che beve e prega, occupata a portare il fardello della sua colpa (qualunque essa sia) perché convinta che questo sia il suo ruolo.
Tynset è un'idea, il nome di una cittadina norvegese che serve a muovere le acque del pensiero del protagonista, a sollecitarne la fantasia per costruire progetti destinati a rimanere sulla carta. Tynset è qualcosa a metà tra uno scopo, un gioco e un sogno.
Pensieri in libertà, si diceva. Pensieri che spaziano dalla superficie delle cose alle profondità, arrivando a sfiorare l'irrisolto, il non detto che giace nel fondo dell'anima tedesca, quel senso di colpa con il quale molti ancora convivono. Uomini che vivono come fantasmi e che il protagonista rincorre per un po' per spingerli a fare i conti con la loro coscienza.
Il protagonista del libro è un uomo che ha rinunciato alla vita attiva ("Ma io so dove mi trovo? Dove? Qui… da nessuna parte: ecco l'unico luogo dove posso respirare, libero, sciolto da ogni cosa, non assalito da nient'altro che dalle intemperie. Non aver colloqui, non eseguire incarichi, non pronunciar sentenze, non avere colpe. […] mi lascio portare finché non esisto più.") e che combatte l'insonnia dedicandosi alla memoria e ad imitare la vita. Ha provato a scrivere un elenco telefonico inesistente per immaginare un mondo che però finisce sempre per dover fare i conti con quello  reale. Un uomo che vive nella quotidianità  ma solo a mezzo servizio ("sono nel quadro e sono fuori del quadro, lo contemplo dal di fuori, sono solo e siamo in due… in due? Ma con chi?"). Un uomo bernhardiano, che definisce la vita "inganno e menzogna e umiliazione", una "gabbia che non offre possibilità", un luogo che abita "senza sapere qual era il mio posto". Unico scopo è il nulla, inteso come "lo spazio frapposto tra una cosa e l'altra, questo soltanto", un nulla però che gli risulta inaccessibile.
In Tynset ricordi e fantasie si mescolano, aiutati dall'alcool confondono i loro confini in una dissolvenza che lascia filtrare solo immagini sbiadite, figure vere e inventate che si incrociano in una danza assurda, abitanti di un labirinto dal quale sembra impossibile uscire, impresa che poi forse è anche inutile perché ogni sforzo è inutile, perché non c'è un altro posto dove stare, e allora non vale nemmeno la pena dedicare troppo tempo ad ognuna delle storie che il protagonista immagina e poi abbandona. Una serie di bozzetti sterili, di possibilità inespresse che servono solo a far trascorrere la vita e che fanno di Tynset un grande romanzo espressionista.

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